Luigi Chinetti e Mauro Forghieri non avevano le stesse opinioni sull'aerodinamica: ogni volta infatti che il NART acquistava dalla Ferrari una sport ex-ufficiale, la prima cosa che l'importatore americano faceva era eliminare il largo spoiler a tutta larghezza alle spalle del pilota, che secondo lui causava portanza e non deportanza come invece sosteneva Forghieri, che avrebbe utilizzato questo particolare per quasi tutti gli anni sessanta, fino alla serie delle 250/330P. Nell'estate del 1962 Chinetti acquistò per la famiglia Rodriguez la 330 TRI (telaio 0808 per chi crede in questo tipo di informazioni) che aveva appena vinto a Le Mans con Phil Hill e Olivier Gendebien. Uno strano ibrido, probabilmente non una delle migliori Ferrari, ma sicuramente abbastanza competitiva per attirare l'interesse di Chinetti. E... con un piccolo rollbar al posto del grosso "tunnel" centrale, Pedro Rodriguez venne iscritto alla Double-400 di Bridgehampton, un pittoresco circuito collocato all'estremità est di Long Island, a un'ottantina di chilometri da New York. In quell'occasione Rodriguez e la TRI non ebbero praticamente rivali, a parte una debole resistenza opposta dalla Maserati 151 di Connell e Pabst, iscritta da Cunningham. Nel '62 la TRI del NART si rivide a Mosport e a Nassau, e l'anno successivo a Sebring e a Le Mans, prima di rientrare a Modena per ricevere una carrozzeria... coupé ed essere rivenduta negli Stati Uniti. Successivamente venne acquistata da Pierre Bardinon, che la ripristinò nella configurazione di Le Mans '62.
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Per apprezzare ancora di più questo modello potremmo consigliare la lettura di Ferrari Testa Rossa V12 di Joel E. Finn, Osprey 1979. |
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Notare il piccolo rollbar lato pilota al posto della larga "lama" montata a Le Mans. |
La versione che Jean Liatti di Nestor ha scelto per una serie limitata a 30 esemplari montati è la vincente di Bridgehampton 1962; inizialmente 15 esemplari erano stati destinati alla BAM, ma dopo il cambio di proprietà l'accordo era saltato e Liatti ha potuto venderli tutti per conto proprio.
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Fotoincisioni e piccoli particolari montati con grande pulizia. |
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Perfetto l'incollaggio delle calotte in plexiglass dei fari. |
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Sulla sinistra in basso è presente un cupolino di aerazione in plexi, simile a quello che avevano sul cofano le GTO. |
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Questa foto conferma che Liatti era in possesso di una documentazione completa, anche del posteriore. |
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L'abitacolo con il bel volante e col delicato castelletto dello specchio retrovisore. Qualcuno potrà obiettare che la corona del volante sembri un po' troppo fine, e forse lo è di una frazione. Ma almeno ha la sezione cilindrica! |
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Firma e numero di serie. |
Questo è l'esemplare 19/30. Si tratta come al solito di un montaggio di una precisione davvero elevata, con una verniciatura finissima e non eccessivamente brillante.
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Pulitissimo il montaggio, con un volante di grande realismo e nessun particolare fuori posto. |
L'assemblaggio non presenta alcuna sbavatura, ogni pezzo è incollato e sistemato senza che la minima traccia di colla sia visibile. Il volante è un piccolo capolavoro, con la corona del giusto spessore e dipinto con una grande cura, così come tutto l'abitacolo.
Perplessità: il colore degli interni. Quando (ormai venti e più anni fa) montavo i kit Starter delle Ferrari di quegli anni, ero giunto alla conclusione che l'interno scocca fosse color metallo, come il fronte del cruscotto. Parte superiore in nero antiriflesso, pannello dietro la schiena del pilota rosso o al limite con una paratia nera o metallica. Sedili rigorosamente blu opaco effetto tela. Questa scelta di Liatti di una divisione netta rosso/nero/blu è probabilmente dettata da esigenze di semplificazione (pianale tutto nero, scocca tutta rossa e via). Il che però contrasta con la raffinatezza del volante o del retrovisore e con la finitura accurata dell'insieme. Morale: che documentazione ha trovato Nestor che mi sfuggì all'epoca? E soprattutto, quei trenta esemplari prodotti sono già tutti esauriti?
RispondiEliminaIn altri casi Liatti non si è fatto scrupoli a dipingere in metallo l'interno scocca, per cui penso avesse le sue ragioni per farlo. Quanto al numero degli esemplari credo sia andato in ordine di numero, per cui sarei portato a pensare che ne restino ancora una decina.
RispondiEliminaOpperbacco, mi piacerebbe diventare uno di quei dieci: gradirei qualche dettaglio, anche in privato, se il blog non lo permette.
RispondiEliminaGran bella scelta, comunque, per una Ferrari brutta ma di gran carattere.
Non ho a portata il libro di Finn -- tuttavia ho le stesse perplessità di Carlo -- non è un segreto ch'io sia un estimatore di Jean Liatti -- per usare una terminologia alla moda ha sicuramente l'X-Factor -- stamane mi si è congelato il coccige ... ma quando finisce questo ghiaccio?
RispondiEliminaCarlo, se ti interessa contattalo via ebay, il suo nick è giua1, e tanti auguri. A volte sparisce per mesi. Credo che la serie non sia stata montata tutta insieme e quindi se deve ancora montare il tuo esemplare ci vorranno secoli.
RispondiEliminaFatto, grazie. Come dicono a Milano, se la va la g'ha i gamb, se la g'ha i gamb la va! (se va ha le gambe, se ha le gambe va!)
RispondiEliminaA parte il colore degli interni, dove credo che l'unica cosa giusta siano il sedile ed il volante, di questo modello mi hanno sempre lasciato perplesso le dimensioni!
RispondiEliminaNon ho mai visto da vicino questo modello, ma ho montato diversi anni fa lo Starter/BAM, se lo trovo ti posto qualche foto, e non v'è dubbio che è da questo che Liatti è partito.
Ebbene questo modello mi è sempre sembrato piccolo rispetto all'auto vera, un pò come quella del 1961, avete presente il modello Starter e quello di Paddock?
Cosa ne pensate?
Sulle dimensioni non mi pronuncio perché non posso fare confronti in questo momento. Quanto agli interni, se Liatti ha ritenuto modificarli abbastanza rispetto alla vettura di Le Mans, avrà avuto le sue ragioni. Non è uno che fa cose a casaccio. Se fosse un po' più facile da contattare potrei provare a chiederglielo, ma è una causa persa.
RispondiElimina...io invece mi pronuncio... non tanto perchè mi piace fare lo sborone ma perchè ho visto la 1/1 al Mas du Clos e perchè ho nel gulliver la rassegna di automodelli realizzati (Western, Starter, Paddock) ... ordunque = il Western non ci azzecca per niente ... la Starter è abbastanza ok = la Paddock è troppo giunonica -- la 1/1 è piccola, come spesso accade, quando la vedi dici: ciumbia com'è piccola!! -- quindi il mio voto per le dimensioni del Nestor è molto alto -- semmai a Jean bisognerebbe fargli entrare in quel capoccione metallizzato il fatto che a finesse potrebbe aggiungere finesse con tromboncini di un altro livello, con una leva cambio meno cono-gelato-da-quattro euro, con la strumentazione del cruscotto un po' più dettagliata (foto-inc.?) ... tuttavia va aggiunto che i Nestor sono belli anche così con questi dettagli un po' naif...
RispondiEliminaPaddock non ha mai fatto la TRI/LM, che era abbastanza particolare; ha fatto solo la TR61, ma in ogni caso hai ragione a dire che chi non ha mai visto dal vivo questo tipo di vetture non si rende conto di quanto fossero "piccole". Non solo queste ma in genere tutti i prototipi almeno fino all'era del Gruppo C. C'era una foto sul libro di Karl Ludvigsen "Porsche Excellence was expected" dove appariva la Porsche 917K del Salzburg davanti ad una normalissima 911 S; ebbene, le dimensioni erano più o meno le stesse, o poco ci manca. E dire che certi pseudo-giornalisti storicoidi (specialmente di una certa regione italiana) continuano a scribacchiare i loro cliché tutte le volte che fanno l'ennesimo articolo inutile su quegli anni: "le grosse Porsche 917... le grosse Ferrari..." a meno che non vogliano riferirsi alla cilindrata... le cilindrate sì che erano grosse... Boh. Comunque. Tornando in tema: sono d'accordo che il pomello del cambio andava fatto più fine e forse i tromboncini non sono il massimo. Ma come dici tu è anche il suo bello.
RispondiEliminaI giornalisti storici troppo giovini potrebbero sempre spendere un quindici euri e comprarsi, ma solo per documentazione, un "Le Mans" di Steve McQueen in DVD. Così magari, vedendo le contorsioni dei piloti che si infilano negli abitacoli, o le riprese ai box, si fanno qualche idea più precisa.
RispondiEliminaNelle riviste storiche italiane si va avanti a cliché. Meno male che il tempo ogni tanto fa giustizia.
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