31 agosto 2019

A proposito di AMR: una Ferrari 365 GT/BB verde metallizzato

Non parlo troppo volentieri di AMR, per varie ragioni. Ormai è una tematica che non mi appartiene più ma in quasi dieci anni di studio approfondito e di collezionismo accanito, ho avuto l'opportunità di assimilare alcune conoscenze che di tanto in tanto mi tornano utili, non foss'altro che per offrire qualche parere o consulenza ad alcuni appassionati che ancora oggi raccolgono quel tipo di modelli. Un passo fondamentale per la conoscenza del marchio è stata come sapete l'uscita del libro distribuito da Miniwerks, e - li dico senza falsa modestia - anche quella del catalogo ragionato sulla produzione Le Phoenix, redatto non mi ricordo neanche più in quale anno dal sottoscritto e da Bertrand Bigaudet. Malgrado questa "rimozione" del tema AMR, di tanto in tanto mi torna la voglia di parlare di qualche aspetto molto particolare, magari aneddotico ma forse utile a capire quanto sia complessa e ricca di sfaccettature la storia dei modelli di André-Marie Ruf.
Una parte della collezione di AMR venduta tramite
Interenchères nel luglio 2011. In basso a destra si
intravede la BB verde metallizzato.
Nel luglio del 2011 si svolse a cura di Interenchères (Francia) una vendita all'asta di una collezione dalle vicende talmente romanzesche e rocambolesche che meriterebbe una storia a parte che forse un giorno racconterò. In questa raccolta vi erano modelli molto particolari, alcune varianti di colore rare e altre pressoché uniche. Molti lotti furono aggiudicati a un noto commerciante, che li mise in parte su eBay e in parte li vendette direttamente. Fui sufficientemente fortunato a venire in possesso di una delle dieci Ferrari 365 GT/BB marchiate HS (Hors-Série). Tutti conoscono i colori della celebre serie montata negli anni settanta da AMR: rosso (il più comune, nero, giallo, bianco). Ma pochi sanno che esiste una serie di almeno dieci esemplari HS, di cui credo che per ora l'unico noto sia lo HS10, di colore verde metallizzato. La scatola è quella caratteristica della produzione anni settanta ma è quella della Jaguar berlina, sulla quale è stata applicata direttamente da AMR un'etichetta bianca. Non ricordo se qualcuno individuò anche il colore esatto utilizzato per questa BB, lo stesso forse di qualche altra serie ufficiale che con la Ferrari non aveva niente a che vedere.

E' un po' come quando alla Fiat si verniciava una serie di poche centinaia di vetture con un colore non previsto in catalogo, solo perché ne avanzava una partita da qualche altra gamma, oppure, per avvicinarci di più al mondo del modellismo, come quando in Dinky, in Solido o in Politoys ci si comportava esattamente alla stessa maniera, dando vita a rarità oggi contese a suon di migliaia di euro.


La Porsche Taycan e i suoi record: una luce nella generale follia?

Il mondo dell'automobilismo non ha forse mai conosciuto maggiore incertezza come in questi ultimi anni, se si eccettuano i tempi pionieristici quando la strada definitiva da percorrere era ancora un'incognita. Paradossalmente anche un secolo fa la partita si giocava fra petrolio ed elettricità: vinse il petrolio grazie ai costi bassi della materia prima. Ai nostri tempi viviamo un momento in cui i costruttori, spesso bloccati dall'incapacità di fare previsioni certe con un minimo di margine, si accontentano di tirare a campare proponendo soluzioni ora obsolete, ora apparentemente "moderne", finendo comunque per aumentare i pesi e di conseguenza le potenze, le misure dei cerchi, dei freni e delle gomme, finendo per creare mostri su mostri che non stanno in strada se non grazie all'ausilio dell'elettronica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con una Mercedes che ha perso se stessa, la Ferrari SF90 da 1600 kg, la BMW Serie 1 a trazione anteriore e una miriade di altri mezzi inutili, ibridi o elettrici, costosissimi, irrazionali e sostanzialmente pleonastici. In tanto guazzabuglio, qualcuno per fortuna ci azzecca ancora. La Porsche è uno dei pochi marchi in grado di innovare davvero, magari percorrendo in chiave moderna strade che la fisica da sempre indica come quelle giuste.
La prossima uscita dalla Cayman GT4 stradale lo sta a testimoniare. Potremmo dire che, paradossalmente, la Cayman GT4 è la vera 911, visto ormai come hanno conciato la loro icona: bel prodotto, forse ancora uno di quelli che esteticamente si salva, ma cos'ha dell'idea primigenia della 911? Niente. In compenso la GT4 promette bene e recupera quell'idea di sportiva stradale a motore centrale che fu la 904 Carrera GTS, un concetto che Porsche, nel lontano 1964, non ebbe il coraggio di sviluppare a dovere per il mercato di serie, preferendo la 911. Poi sappiamo tutti com'è andata, fino a far divenire la 911 un'icona talmente inattaccabile che ha rischiato a più riprese di far fallire tutta la baracca e altrettanto a più riprese è stata in grado di risollevarla. Oggi sembra che la Porsche abbia fatto pace tirando fuori una generazione capace - almeno apparentemente - di mettere d'accordo puristi e futuristi. Però chi vuole una 911 vera (quindi con i suoi difetti) non butta 100000 euro o quelli che sono in una 992, ma si va a cercare una S del 1971 o una Turbo del '75 e ci si diverte imparando a guidare quel compendio di irrazionalità che è quella macchina.
Intanto la Taycan elettrica, dopo aver affrontato positivamente una prova endurance a Nardò, ha battuto il record della categoria auto elettriche a 4 porte sul Nurburgring, girando in 7'42". Abbiano o non abbiano un futuro, per lo meno i veicoli elettrici impongono una sfida tecnologica e Porsche si sta preparando a far concorrenza alla Tesla. Presto probabilmente ne farà un sol boccone, ammesso che ci sia mercato per questo genere di prodotto. La Taycan sarà supportata mediaticamente dal programma in Formula E. Tutte le tempistiche sono state studiate con attenzione e l'operazione di marketing non si discute. Personalmente se penso che fino a due anni fa stavamo commentando le vittorie delle 919 mi viene un po' da vomitare, ma del resto anche il sistema ibrido favorito dai regolamenti FIA e montato sulle LMP1 serviva a promuovere la vendita delle auto di serie, facendo credere alla gente che quello era il futuro della mobilità intelligente.
Quella dei progressi della Taycan è in ogni caso una buona notizia, perché dimostra se non altro una ricerca della novità. Se Ferrari o Alfa Romeo avessero deciso di imporsi con qualcosa di veramente avanzato concependo un veicolo simile, o se l'avesse fatto Maserati, magari con una Quattroporte in chiave post-moderna anziché continuare a propinarci cadaveri come la Ghibli, non sarebbe stata questa la vera svolta per la tanto decantata tradizione italiana? Abbiamo iniziato con la Porsche e siamo finiti al gruppo FCA. Ci sarà pure un motivo.

30 agosto 2019

Elite Models, un marchio del (recente) passato



Agli inizi degli anni duemila gli appassionati di vetture italiane in scala 1:43 potevano contare su un marchio di grande serietà: Elite Models di Vincenzo Iezzi, un modellista di Capranica (provincia di Viterbo) che nel tempo aveva saputo sviluppare una gamma di riproduzioni che si collocavano al di sopra della media di tutto ciò che si trovava sul mercato. Gli Elite Models erano speciali montati in resina con particolari fotoincisi, presentati in modo impeccabile, nel colori originali con le esatte combinazioni degli interni.


Iezzi è un grande conoscitore delle vetture reali e cercava di mettere nei propri modelli tutte le sue conoscenze acquisite sul campo. Elite Models era composta esclusivamente da marchi italiani: Alfa Romeo e Fiat erano le principali fonti di ispirazione. In particolare la Giulia era il fiore all'occhiello nel catalogo. Erano proposte tutte le versioni, ultima delle quali fu la Nuova Giulia, quella con il cofano e il bagagliaio piatto degli anni settanta. Previste anche versioni Polizia, ricavate da documentazione originale e assolutamente attendibili.

I modelli Elite non avevano neanche un prezzo esorbitante. Le produzioni erano estremamente limitate e destinate per lo più a un gruppo di ammiratori del marchio che ne sapevano valorizzare le caratteristiche. Erano già gli anni in cui le produzioni cinesi iniziavano a guardare con sempre maggiore interesse alla produzione italiana, avendone intravisto il potenziale commerciale. Ditte come Starline iniziavano a uscire con le varie Lancia, Fiat, Abarth e Alfa Romeo, con modelli probabilmente validi per il prezzo ma che presentavano incoerenze o inesattezze che per il titolare della Elite Models erano del tutto intollerabili.

A quell'epoca, su Internet, era soprattutto sui forum che si dibattevano certi temi, con da una parte gli incondizionati della quantità, ingolositi dalla valanga delle cineserie che invadevano il mercato, dall'altra collezionisti forse più competenti, per lo meno più attenti alla qualità della riproduzione e - non ultima - dei materiali. Oggi Elite Models non esiste più e di modelli di questa marca in giro se ne trovano pochissimi. Molto probabilmente chi li ha comprati se li è tenuti ben stretti. Una ragione ci sarà.


Pique la lune, Rue de la Mariette e la 24 Ore di Le Mans

In Rue de la Mariette a Le Mans c'è un distributore di benzina abbandonato, una tabaccheria con l'insegna quadrata gialla e una fila di casette di due o tre piani, lungo le quali si rincorrono vecchi pali della luce. Per chi va laggiù una o due volte l'anno per decenni di fila i risultati della gara non sono poi così tanto importanti. Contano altre cose. Non dico che certi posti diventino come casa tua, ma tendi a sviluppare dei legami e dei percorsi emozionali difficili da sradicare. A Le Mans per me e i colleghi che mi hanno accompagnato in tanti viaggi c'è un prima e un dopo, che non è dato dalla vittoria epocale di qualche auto o di qualche pilota. C'è uno spartiacque più tenue e molto più soggettivo. E' la casa di Madame Andrée Berthelot in Rue de la Mariette. La signora Berthelot aveva fatto quello che la maggior parte degli abitanti di Le Mans fanno nel periodo della 24 Ore e in altre settimane di gara: affittare stanze a gente di mezzo mondo. Con gli anni era divenuta una consuetudine arrivare in quella strada dritta, salutare "la nonna" (come ormai la chiamavamo) e sistemarci quasi automaticamente secondo i posti assegnatici una prima volta chissà quando. Raul aveva la stanza con grande quadro del Pierrot; io quella con la finestrona sul tetto che alle cinque di mattina sembrava mezzogiorno.
"Pique la lune". Saint-Exupéry a Le Mans. 
C'era solo una specie di avvolgibile rosso scuro di cui non sono mai riuscito a capire il funzionamento. Una casa piena di scale. La padrona era una piccola signora molto gentile ma fermissima. Una volontà di ferro e uno spirito d'indipendenza vissuto con un po' d'orgoglio. Aveva divorziato dal marito in tarda età e viveva sola in quegli ambienti dove soprammobili kitsch di vetro colorato convivevano con vecchi telefoni e manuali per la perfetta sposa degli anni sessanta, dove ti si spiegava come tagliare i formaggi secondo la forma ed essere gentile o addirittura gradevole coi suoceri. Passavo ore a leggermi quei relitti di un mondo che già non esisteva più da un'eternità. In quella casa c'era un odore misto di detersivo e di crema solare. Non potevi pensare neppure alla lontana di fare un passo scalzo che avresti poggiato la pianta del piede su una scheggia di legno del XVII secolo o su una bulletta dello stesso periodo. Una sera, nel 2008, trovai un piccolo pacchetto alla porta della mia stanza. Era un libro sulla permanenza di Saint-Exupéry, uno scrittore che amo molto, a Le Mans. "Pique la lune", un regalo di Madame Andrée, con tanto di dedica. Pique la lune era il soprannome di Saint-Exupéry da bambino. Il mio compleanno coincide quasi sempre col weekend della 24 Ore e la signora aveva pensato a me. La mattina seguente - era un venerdì - volle per forza mostrarmi la scuola dove lo scrittore aveva passato periodi forse neanche troppo felici, con grande gioia dei miei colleghi, che pensavano solo al fatto che saremmo rimasti imbottigliati nel traffico attorno all'entrata principale. A Le Mans non esistono percorsi dedicati alla stampa, tutti passano per lo stesso tragitto, creando ingorghi inimmaginabili. Le Maine Libre ci aspettava ogni mattina per colazione con la signora che recitava i tempi fatti registrare nelle prove, sollecitando risposte e commenti da tre o quattro poveri giornalisti che se ne erano andati a letto qualche ora prima. "Non essere preoccupato", mi diceva. "Non sono preoccupato, sto programmando il lavoro da fare oggi". La formalità e la buona educazione con lei diventavano dei doveri civili. Civili in ogni senso, degli atti dovuti secondo una prassi che in Italia ormai ci siamo scordati e che in Francia, paese di cui ci facciamo spesso beffe nella nostra crassa e irreversibile decadenza, ancora esiste.
Suo figlio lavorava in una di quelle isole francesi sperse chissà dove in qualche oceano. Si sentivano via Skype (che lei pronunciava Skip, alla francese); una volta, per dimostrarci come padroneggiasse bene quel mezzo tecnologico si collegò beccandolo mentre faceva la doccia, non so neanche che ore saranno state dalle sue parti. A oltre ottant'anni conduceva una vita attiva, doveva essere stata una donna indipendente, decisa, forse a tratti anche dura. Nel 1970 aveva fatto la comparsa per il film di McQueen. Forse aveva fatto una vita interessante, ma non ne sapevamo poi molto. Nel 2012, per la Classic, la Peugeot 508 del parco stampa, un vero bidone, pensò bene di lasciarci a piedi e lì ci rendemmo forse conto del vero carattere di Madame Berthelot.
Rue de La Mariette verso le dieci e mezzo di sera.
A quelle latitudini, d'estate a quell'ora c'è ancora luce. 

Ogni quattro o cinque ore telefonava urlando al malcapitato garage Peugeot di Le Mans che non era bello fare aspettare così tanto degli ospiti arrivati da così lontano, che ci voleva a fare arrivare un pacchetto da Parigi e montarlo in una cavolo di macchina, perché non avevano più dato notizie, perché non erano in grado di sapere quando avrebbero riconsegnato l'auto, che lei (lei!) esigeva un termine preciso e una risposta definitiva altrimenti avrebbe chiamato non ricordo più chi (l'importatore della Peugeot? O la Peugeot stessa? O l'amministratore delegato del gruppo PSA?). Il famigerato "pezzo", una centralina malriuscita che aveva immobilizzato l'auto, tardava ad arrivare e credo che se non fosse stato per lei saremmo rimasti a Le Mans per tutta la vita. Iniziavamo anche un po' a farcene una ragione ciondolando da una birreria all'altra nel centro, ormai deserte dopo la partenza degli ultimi danesi e inglesi ormai quasi del tutto sobri. Nei giorni successivi alla gara, necessari alla riparazione, fummo ospiti da lei e non volle un euro in più.
Quando le gare finiscono, Le Mans è un posto tranquillo.
Forse anche troppo. 
Andammo insieme a riprendere l'auto con un taxi e prima di risalirci per guadagnare la direzione dell'Italia (era tardissimo e già mercoledì!) volle fare un giro della concessionaria per guardare le auto nuove. Aveva avuto come ultima macchina una Peugeot e probabilmente quelli dell'officina la conoscevano già bene, se l'impressione era quella di un generale che ispeziona una compagnia fatta di soldatini, un caporale e al massimo un sottotenente di complemento. Scattammo foto di arrivederci accanto alla recalcitrante auto, che intanto per fortuna sembrava riparata, almeno per il chilometraggio sufficiente a riportarci a destinazione.
L'ultimo ricordo di Madame Berthelot, insieme alla
Peugeot 508 che ci lascìò a piedi. 

A dicembre scrivemmo la solita mail per confermare il nostro ritorno per la 24 Ore di Le Mans 2013. Dopo un paio di giorni arrivò come risposta una mail del figlio: Madame Berthelot era mancata da poche settimane. Mi venne istintivo inviargli le ultime foto fatte a sua mamma a luglio, poco prima di ripartire.

28 agosto 2019

La Porsche 935 Jolly Club Sportwagen-Momo di Daytona 1979: nuova serie limitata di Madyero


E' disponibile in questi giorni una serie limitatissima firmata da Madyero. Si tratta della Porsche 935 IMSA che venne iscritta dal Jolly Club-Sportwagen alla 24 Ore di Daytona 1979. Pilotata da Carlo Facetti, Martino Finotto e Momo Moretti, la vettura fece parlare di sé per la pole position ma in gara dovette ritirarsi per cedimento del motore, venendo comunque classificata al quarantacinquesimo posto. Questa macchina (telaio 930 770 0911) era particolarmente competitiva, essendo stata una delle vetture utilizzate dal team di Georg Loos nel 1977. In seguito continuò la propria carriera nell'IMSA, venendo poi trasformata con carrozzeria e specifiche tipo K3 dei fratelli Kremer. Il modello Madyero presenta tutte le caratteristiche delle serie montate dell'artigiano toscano. 


Particolarmente raffinati i cerchi autoventilanti e la finitura degli interni. Come al solito non è un modello per tutti, ma queste serie limitate hanno il loro pubblico di estimatori che sono ben contenti di aggiungere alle proprie collezioni dei pezzi esclusivi e con un rapporto qualità/prezzo praticamente imbattibile. 

Il modello è reperibile a questo link: https://www.geminimodelcars.com/listing/718414542/porsche-935-imsa-jolly-club-sportwagen

26 agosto 2019

Jean-Paul Magnette e una serie (molto) limitata di Ferrari 365 GT 2+2 di AMR

Il risultato era in linea con gli standard immacolati cui
Magnette ha abituato i collezionisti dalla fine degli anni settanta. 
La verniciatura era come al solito impeccabile, finissima
e di grande leggerezza. Gli assetti studiati al millimetro, tutto
tornava con una spontaneità che non aveva nulla di improvvisato. 
Quando pensi alla Ferrari 365 GT 2+2 di AMR ti viene in mente quella bellissima serie montata per il negozio ginevrino Amacher, sulla quale esiste anche una storia, piuttosto romantica, legata all'attore Gianfranco Jannuzzo e a sua moglie (all'epoca) Gabriella Carlucci. Ma veniamo più allo specifico. Stavolta non parlo del modello fatto per Amacher, ma di un'altra edizione, montata da Magnette, realizzata ormai diversi anni fa. Verso il 2010-2011, Jean-Paul Magnette aveva trovato in Miniwerks (California) un distributore, almeno ufficialmente, esclusivo. I montaggi JPM fatti per Miniwerks andavano a ruba e accadevano fenomeni analoghi a quelli che sono sempre accaduti nel mercato delle supercar vere: entrare nella lista degli eletti, aventi diritto ad acquistare i modelli, era difficilissimo e alcuni erano addirittura disposti a pagare svariate centinaia di dollari per progredire nella "waiting list". Io stesso mi ero visto più volte offrire ottocento o mille dollari per cedere definitivamente la mia posizione di vantaggio, che si era consolidata nel tempo, anche grazie ad uno stratagemma direi abbastanza semplice ma ingegnoso. Ero riuscito a fornire al titolare di Miniwerks via via abbastanza kit da far montare a Magnette, guadagnandomi quindi un po' di voce in capitolo sia nella scelta dei soggetti, sia nell'opzione dei colori e delle versioni. Mi rifornivo in parte da collezionisti italiani, tedeschi e francesi, ma quello che aveva ancora molti kit in condizioni perfette, provvisti dei sigilli ufficiali AMR, era l'eccellente montatore del marchio Minidelta.
L'esemplare che dette l'ispirazione, fotografato nel maggio
del 2010 a Spa. 

L'idea di una 365 GT 2+2 celeste metallizzato con
interni blu piacque e Magnette decise di farne una serie
limitata che andò a ruba. 
Un modello di cui riuscimmo a raccogliere un numero sufficiente di kit fu dunque la Ferrari 365 GT 2+2 di X-AMR. Era la fine del 2010, e giusto nel maggio di quello stesso anno avevo fotografato in occasione della gara di Spa della Le Mans Series un bellissimo esemplare blu chiaro metallizzato con interni blu. Venne poi scelta una seconda combinazione per un'altra serie limitatissima in verde metallizzato con interni verdi. Riuscii a fotografare i modelli appena verniciati nel corso di una mia visita a Magnette nel dicembre del 2010. A fine gennaio 2011 le due serie di 365 GT 2+2 furono completate e gli agognati pacchetti raggiunsero le case dei loro proprietari che avevano già prenotate e pagato a suo tempo senza esitare un attimo. Oggi quella stagione è ormai finita. Per certi versi è un bene, per altri è un male. Del resto, quando si parla di AMR spesso ci si trova ad oscillare con grande facilità tra sentimenti gioiosi e altri decisamente amari. Dev'essere il destino di questo marchio, dividere, far discutere, dare piacere e suscitare controversie. I collezionisti che sono rimasti nel giro devono essersi rassegnati a questa duplice natura insita in questi modelli.

La serie delle 365 GT 2+2 fotografate nel dicembre 2010
nel laboratorio di Magnette: tre blu e due verdi.
Una delle scocche pronta per il montaggio, dopo
la fase di verniciatura. 
E' sicuramente un bene perché si era giunti a dei livelli di parossismo speculativo che potrei definire febbricitanti. E' un male perché entrare in quei meccanismi è stata un'esperienza molto istruttiva che mi ha fatto conoscere molti montatori di grande livello. A mio parere Magnette, nella sua semplicità, che non significa semplicismo, resta un maestro difficilmente imitabile. Ho scritto spesso di Magnette e della sua "mano" e forse non c'è bisogno di tornare sull'argomento. Però quando si ha voglia di raccontare storie di questo tipo significa che si sta diventando vecchi. 

20 agosto 2019

Collaborazione con Maserati per Brooklin Models. In vista anche le celebrazioni per il 110 anni dell'Alfa Romeo


Brooklin, lo storico marchio britannico di modelli in metallo bianco, ha perfezionato una collaborazione ufficiale con Maserati per realizzare alcune riproduzioni piuttosto particolari. E' prevista una serie di riproduzioni in scala 1:6,5 di celebri volanti delle vetture del Tridente, tutti in metallo bianco. Queste le prime referenze: A6G Spyder 1954-1957, Mistral 1964-1971, 3500GT Coupé 1957-1960. Verranno riprodotti anche alcuni yacht da competizione che portano il marchio Maserati, come il VOR70 e il Multi70. L'anno prossimo è in ponte anche una collaborazione con Alfa Romeo (o con ciò che ne resta), che celebrerà il centodecimo anno dalla fondazione. Ricordiamo che Brooklin ha già in essere una produzione di vetture papali, ufficialmente autorizzata dalle Edizioni dei Musei vaticani.  


19 agosto 2019

Eliomodels: i programmi a breve. Si sviluppa anche la produzione di transkit

Riceviamo questo comunicato da Eliomodels sui programmi a breve scadenza per quanto riguarda montaggi ed elaborazioni di modelli 1:43.


Nessuna novità, questa settimana, per cui facciamo il punto della situazione: a fine agosto/primi di settembre uscirà il decimo Eliomodels, ovvero la Fiat 124 Special T dei coniugi Dean al Rallye Elba '77, il cui montaggio è stato affidato a Silvio Dalla Rosa. Pochi esemplari come d'abitudine, del resto la nostra produzione è stata fin dall'inizio elitaria: meglio, secondo noi, produrre pochi modelli ma di qualità piuttosto che produrne molti ma scadenti. Penso che sarete tutti d'accordo con me. La qualità è appunto il nostro target, è stato così fin dall'inizio e lo sarà anche in futuro.
Prosegue anche la produzione dei transkit: dopo quello dedicato all'Alfa Romeo GT Am della Ronde Cévenole 1970, che è stato il primo di una serie che si spera sia lunga, è ora la volta del secondo, ovvero quello per ottenere la Ferrari 308 GTB di "Panic" al Tour de Corse 1983. Decal disegnate da Roberto Pigorini. Vedrà la luce anch'esso per la fine di agosto/primi di settembre. Sarà poi la volta del terzo, dedicato alla berlinetta per eccellenza, l'Alpine Renault A110 (in questo caso quella guidata da Adrian Boyd al Circuit of Ireland 1977). Decal disegnate da Diego Secci ed accessori che saranno stampati in resina da Alfonso Marchetta. Lo stesso Alfonso si occuperà poi (in autunno) dello stampaggio del primo kit firmato Eliomodels, la Toyota Celica 2000 GT ricavata dalla vecchia base Solido.

La Mercedes 300 SE (W111) di Revell in 1:18, una storia già di altri tempi

La 300 SE di Revell aveva portiere apribili, tetto
amovibile e ruote sterzanti. 
Non amo i modelli in scala 1:18 né tanto meno, in genere, i modelli fatti in Cina. Figuratevi come devo essere contento a sorbirmi quotidianamente le liti e le diatribe su Facebook (che sono costretto a utilizzare per fini commerciali e promozionali, come tutti) a proposito dell'ultimo Laudoracing, il GT-Spirit so-un-corno o l'eccezionale e irrinunciabile Ixo appena uscito. Queste discussioni mi appassionano quasi come le stolte guerre fra quelli che guardano i filmati dello Stelvio e della Cayenne muoversi tra i birilli con l'eleganza di un elefante in un negozio di vetri di Boemia. Detto questo, esiste qualche modello cinese in 1:18 in grado di appassionarmi veramente? Boh, forse qualche Formula 1 dei primissimi anni 80 di Spark (tipo la Brabham BT49 del 1981 recensita per Modelli Auto), ma forse solo perché mi riporta all'infanzia e al periodo in cui avevo iniziato ad appassionarmi alla F.1. Ma storicamente (intendo dal punto di vista modellistico) è piuttosto difficile, ora come ora, provare qualcosa che oltrepassi la curiosità aneddotica per questo tipo di prodotto. Fra venti o trent'anni chissà. Ora di sicuro no. Ci sono però dei risvolti storici già "d'epoca" che costituiscono ormai delle pietre miliari dell'automodellismo. Intendo dire che sarebbe bello, e anche incredibilmente interessante, ascoltare le storie di Lang sulla dislocazione della produzione in Cina o quelle relative agli anni pionieristici di Spark. Del resto si parla - per Lang - di quasi un trentennio fa e di un ventennio per quanto riguarda Spark: una o due generazioni, mica niente. Quelli nati nel 1990 possono esser già quasi nonni.
Agli inizi degli anni novanta, un marchio storico come Revell (la parte tedesca; quella americana segue un altro itinerario) si accorge di due cose: primo, che per ridurre i costi bisogna guardare alla Cina; secondo, che la scala 1:18 può costituire il futuro dell'automodellismo. In realtà alla Revell si accorgono di un terzo fattore importante, ossia che nessuno fino a quel momento ha prodotto in 1:18 modelli interessanti per il forte mercato del Centro Europa, tipo le berline europee anni sessanta. Partono le ricognizioni alla ricerca di collaboratori e a Hong Kong viene trovato un certo S.H. Kwok, un ingegnere del ramo dell'automotive, appassionato di BMW, che in Fui Yiu Kok Street ha un'azienda di progettazione ed engineering.
Molta cura venne dedicata alla progettazione e alla
realizzazione delle tante cromature. 

L'aspetto esteriore dell'azienda non era dei più attraenti, ma si sa che nella botte piccola (o un po' scalcinata?) ci sta il vino buono. Mi viene in mente quello che Fernando Reali mi aveva detto una volta che avevo visitato BBR per un articolo. Queste piccole realtà cinesi o di Hong Kong andavano cercate col passaparola e a volte potevi trovare l'oro dentro un anonimo stabile, in un misero e banale appartamento adibito a laboratorio. Chissà se ancora oggi è così. Fatto sta che Mr. Kwok e Revell si accordano per realizzare, entro il 1995, un diecast 1:18, la Mercedes 300 SE serie W111. Il modello sarà parzialmente apribile e con più dettagli possibile: interni ben riprodotti, cromature realistiche, belle ruote, verniciatura a livello dei migliori standard europei e naturalmente una fedeltà di linee e di proporzioni da attirare il maturo pubblico dei collezionisti occidentali. La collaborazione ha successo e il modello viene concepito per intero a Hong Kong, anche se la fabbricazione si trova in territorio cinese (HK era ancora sotto la Gran Bretagna) a una cinquantina di chilometri a nord. L'obiettivo di essere pronti per il Natale del 1995 viene raggiunto. L'esperienza di Kwok in campo progettuale è un elemento decisivo. Come master è approntato un modello in scala doppia (1:9) e tutti i pezzi, circa un centinaio, che compongono la 300 SE, ingegnerizzati per un montaggio il più semplice e veloce possibile. Le maestranze in Cina sono rappresentate per lo più da giovani operaie, cosa tipica in quel momento. La produzione iniziale della 300 SE, in colore nero, è stabilita in circa 35.000 pezzi, sistemati per il viaggio in tutto il mondo in cartoni da sei esemplari.
Nonostante quelle che oggi potrebbero parere delle
"ingenuità", la W111 di Revell regge ancora abbastanza bene
il confronto coi modelli diecast odierni. 

La resina non era ancora considerata come un
possibile materiale per produzioni in massa. I modelli
diecast erano praticamente l'unica scelta possibile e del resto
le cifre raggiunte dalla W111 (35.000 esemplari solo della
prima serie nel 1995) giustificavano l'investimento degli
stampi e dei macchinari per la fusione in zamac e in plastica. 
Il numero di catalogo della 300 SE è 089109090. Questa è in breve la storia di quell'avventura, continuata poi per Revell esattamente com'è continuata con tutti i marchi leader della grande produzione modellistica. La Revell avrebbe poi prodotto altre versioni della W111, in altre configurazioni e in altri colori. Ma se trovate il primo esemplare, non lasciatevelo sfuggire, perché rappresenta una parte importante della storia dei costruttori modellistici. Alla W111 seguirono altre Mercedes, dalla W120 alla W123 fino alla W116 e ulteriori vetture tedesche come la Ford 12M o la Opel Kapitaen. Da quel Natale del 1995 sono passati ventiquattro anni, abbastanza per classificare la 300 SE di Revell come una pietra miliare dell'1:18, esattamente come lo erano stati i primi Burago fatti in Italia negli anni ottanta. E tutto sommato, lo dico per quelli che guardano esclusivamente alla fedeltà di riproduzione anche quando osservano un Dinky degli anni trenta, la Mercedes di Revell non è neanche poi invecchiata così male.

18 agosto 2019

Gallery: Porsche 911 (991) RSR LMGTE-Pro (WEC, 6 Ore di Spa-Francorchamps 2013)

La presentazione della nuova Porsche 911 RSR modello 992 per la stagione 2019-2020 del WEC e quella 2020 dell'IMSA è storia recentissima. Andiamo indietro nel tempo a cercare la versione 2013 (serie 991) di questa vettura, che ha sancito il ritorno ufficiale della Porsche nella categoria GT (classe LMGTE-Pro), esattamente un anno prima dell'ingresso in LMP1 con il modello 919 Hybrid. La 911 RSR sostituiva la 911 GT3 RSR modello 997.
Le foto si riferiscono alla 6 Ore di Spa-Francorchamps.
Questi gli equipaggi delle due vetture ufficiali: 
n.91 Bergmeister/Pilet/Bernhard
n.92 Lieb/Lietz/Dumas
(foto David Tarallo)