31 gennaio 2020

Risvolto storico: la prima Dallara-Fiat a guida centrale; origini, sviluppo e restauro

Cari lettori del blog, sapete che di tanto mi diverto a pubblicare (o ripubblicare) qui alcuni articoli di storia dell'auto. Stasera stavo pensando di mettere on line tutt'altro ma per puro caso mi sono imbattuto in un pezzo uscito una quindicina di anni fa su Autocollezioni Magazine che ripubblico con pochissime modifiche e un corredo di foto più limitato rispetto alla versione originale, pur sempre interessanti, almeno credo. Dal periodo in cui uscì questa piccola ricerca, delle Dallara prototipo a guida centrale è stato scritto parecchio. All'epoca la vettura non era molto conosciuta, né tanto meno il primo esemplare. Fu Pier Luigi Muccini a suggerirmi di pubblicare qualcosa, e l'idea piacque molto anche ad Alberto Rastrelli, che a distanza di qualche anno dalla sua monografia sulla Gino e Lucio De Sanctis, stava lavorando all'opera dedicata alle Sport Prototipo italiane (di cui purtroppo è uscito solo il primo volume; il secondo tomo ho paura che non ci sarà mai).

DALLARA-FIAT 1000 SPERIMENTALE
(di David Tarallo)

Nei primi anni Settanta, Gian Paolo Dallara era già un ingegnere dalle idee innovative e originali, con alle spalle esperienze significative presso alcuni dei più prestigiosi marchi italiani del Gran Turismo. Entrato alla Ferrari nel 1960, dove aveva potuto acquisire molta esperienza soprattutto con l’ingegner Carlo Chiti, era in seguito passato alla Maserati e, per un breve periodo, alla Lamborghini, dove aveva avuto l’opportunità di crescere a livello professionale modificando una 350 GT, e soprattutto progettando la celebre Miura. L’inizio della sua brillante carriera di costruttore di auto da corsa - se si esclude la VTM, prototipo derivato da una Formula 850 - prese le mosse da una serie di vetture Sport la cui storia non è ancora stata messa in luce a dovere, e che si sono sempre distinte per la raffinatezza aerodinamica oltre che per l’avanguardia delle soluzioni meccaniche adottate. 
II Trofeo AC Parma, giugno 1972: la prima uscita della
Dallara-Fiat 1000, con Bruno Pescia.
Nell’attesa che qualcuno si prenda la briga di operare una disamina organica sull’intera produzione, in questa sede concentreremo l’attenzione sulla primissima barchetta Dallara, che debuttò nella stagione di corse 1972. L’auto nacque con un’insolita guida centrale, sfruttando in maniera intelligente una piega dell’allegato J, che prescriveva che le vetture Sport dovessero possedere almeno due posti. Niente, quindi, vietava la realizzazione di una… triposto con guida centrale e secondo e terzo sedile ai lati del pilota. In questo modo si otteneva una distribuzione dei pesi vantaggiosa, paragonabile a quella di un’auto di formula. Il telaio della Dallara, del tipo monoscocca in lamiera di acciaio, era formato da due longheroni centrali che proseguivano posteriormente e si congiungevano col motore. L’unità motrice prescelta fu il Fiat 128 da 1116cc ridotto a 1000 (alesaggio invariato, corsa portata a 76 mm), un propulsore che iniziava a riscuotere un certo interesse da parte dei preparatori come possibile alternativa al Cosworth SCA derivato dal basamento Ford Cortina 116E, e al Fiat-Abarth 1000, ormai abbastanza vecchio. Proprio in quel 1972 iniziò a utilizzare il monoblocco 128 Romeo Ferraris di Opera (Milano), il quale vi aveva sistemato una bellissima testa quattro valvole: con un rapporto di compressione di 10,2:1, il tecnico lombardo aveva ottenuto la ragguardevole potenza di circa 150 cv a 11.500 giri. Anche Dallara intervenne con molte migliorie sul Fiat 1000, che rimase comunque monoalbero. Inizialmente furono adottati carburatori a doppio corpo Weber da 40, ma successivamente si optò per un sistema di alimentazione di concezione Dallara con pompa Kugelfischer. Per la prima versione a carburatori si parlò di una potenza di circa 115 cavalli. Il cambio era un Colotti a 5 marce. Tutti i pesi possibili, quali serbatoio, batteria, radiatori, filtri dell’olio furono sistemati intorno al baricentro. Anche la scelta di montare il motore (portante) in posizione trasversale come sulla Lamborghini Miura era dettata dall’esigenza di ottenere un miglior bilanciamento. La carreggiata e soprattutto il passo avevano una misura maggiore di quella delle Sport dell’epoca e si avvicinavano molto agli ingombri delle Formula 3 (così come i prototipi 3000 tendevano ad assomigliare sempre di più alle Formula 1).
Molto avanzata la ricerca aerodinamica, con una carrozzeria in vetroresina che carenava tutte e quattro le ruote, dalla linea di cintura bassa, tesa e pulita (“l’aspetto – commentò all’epoca il settimanale Autosprint – è quello di una vettura da record”).
La Dallara-Fiat ai box di Varano: si riconosce (terzo da sinistra) l’ingegner
Dallara; appoggiato alla vettura è l’ingegner Cazzaniga, motorista. 

La Dallara-Fiat 1000 Sport debuttò in corsa il 25 giugno 1972, in occasione del II Trofeo A.C. Parma, gara “chiusa” di velocità in circuito sulla pista San Cristoforo di Varano de’ Melegari. Curiosamente, nella lista degli iscritti non compare il nome Dallara, bensì la dicitura “xx 1000”. Il pilota designato era “El Paso”. Come riserva era stato inserito Bruno Pescia, un giovane e promettente pilota ticinese che si era distinto nelle categorie addestrative vincendo il campionato di Formula Ford. Quel giorno prendevano parte alla classe 1000 della categoria Sport alcune AMS (con Mario Barone, “Bramen”, Pierino Cullati, Cesare Garrone), l’ATS di Giovanni Morelli, le Abarth di Renato Davico e Mino Codeluppi, la Paganucci di Giovanni Paganucci, la Ferraris di Ugo Locatelli-Verona e l’Abarth-Landi con carrozzeria Paganucci di Lido Giambastiani. Non fu “El Paso”, bensì il collaudatore Pescia a portare in pista la vettura. Il team di Cesare Doneda era presente per fornire la propria supervisione tecnica. Le aspettative di Dallara e del pubblico di casa andarono però deluse: dopo quattrocento metri dal via la frizione si ruppe, e Pescia dovette tornarsene ai box a piedi. Venuto a mancare un avversario potenizalmente competitivo come Pescia, il parmense Morelli si aggiudicava il Trofeo, davanti a Garrone e Giambastiani.

Il lavoro di affinamento e di messa a punto della Dallara-Fiat 1000 proseguì nelle settimane successive con prove di lunga durata, e ritroviamo la vettura a Varano il 27 agosto 1972, per il III Trofeo d’Estate. Nella gara per vetture sport di I divisione (1000 e 1300cc), la Sport si mostrò competitiva ma ancora una volta poco affidabile: Pescia riuscì addirittura a prendere il comando assoluto della corsa per qualche tornata. Ma il ritmo impresso dal torinese Filannino, che correva con una Lola-Abarth 1300, era troppo alto per i più deboli motori da un litro, e ben presto accadde quello che molti temevano: il propulsore della Dallara esplose clamorosamente in rettilineo, con grande disappunto del pubblico varanese. Per la cronaca, la vittoria di classe 1000 andò a Cesare Garrone su AMS, mentre Filannino si aggiudicò la classifica assoluta.
Nell’autunno del ‘72 Dallara aveva già costruito un secondo telaio Sport, adottando però il motore 1300 (derivato dal Fiat 128 da 1290cc), che vinse la propria classe col solito Bruno Pescia al I Trofeo Lombardini a Varano l’8 ottobre. In quella gara il “1000” venne affidato al reggiano “Ragastas” (alias Francesco Ferretti), che concluse al terzo posto di classe dietro all’ATS di Morelli e all’AMS di Donà. Nel 1973, quando ormai la produzione delle Sport Dallara era già abbastanza avviata, il primo prototipo, che aveva svolto il compito di vettura sperimentale per tutta la stagione 1972, venne modificato nel roll-bar, nella carrozzeria e in altri particolari, rinumerato e messo in vendita (successivamente, dal 1976, la Dallara si dedicò alla costruzione di un telaio del tutto differente, destinato ad ospitare i motori Ford 1600). La Sport 1000 “pre-serie” fu acquistata da un pilota campano, Tisci, che ci corse fin verso il 1975. Dopo il cambio dell’Allegato J nel 1976, che limitava a due il numero dei posti delle Sport ed eliminava la guida centrale, questa vettura venne convertita in biposto con guida a sinistra. Portata in Sicilia, cambiò ancora più volte di proprietario, e si ha notizia di un suo impiego agonistico fino a tutto il 1985.
 
La parte anteriore della Dallara-Fiat 1000 sperimentale prima
del restauro: notare i serbatoi dell’olio dei
freni inseriti nel telaio. 
Vista posteriore del motore Fiat derivato 128, che ha funzione portante ed è leggermente disassato. Notare il triangolo della sospensione a destra, e a sinistra il puntone, soluzioneasimmetrica per ospitare il 4 cilindri in posizione trasversale.


Alcuni anni or sono i fratelli Bonucci di Siena acquistarono da un collezionista bresciano una Dallara-Fiat un po’ malconcia e dalla carrozzeria molto rimaneggiata. Nel 2000 l’auto fu ceduta a Pier Luigi Muccini, noto pilota pisano, anch’egli costruttore fino agli anni Novanta, e al livornese Andrea Bagnoli, che decisero di riportarla allo stato originario. Ma lasciamo a questo punto la parola allo stesso Pier Luigi Muccini: “Fin dall’inizio notammo molti piccoli particolari che differenziano questo esemplare dal resto della produzione: i serbatoi dell’olio dei freni sono inseriti in un longherone del telaio, quando le altre Dallara presentano tali particolari montati esternamente allo chassis; le pinze e le pompe dei freni sono quelli della Fiat 128, mentre sui telai successivi si adottarono gli appositi pezzi Girling. 
La carrozzeria in corso di ricostruzione. 

Una delle prime apparizioni della Dallara restaurata. 
A ciò si aggiungono altri indizi a mio parere significativi, quali ad esempio la diversa forma della centina del cruscotto. Queste osservazioni, corroborate da una ricerca storica, portarono ad un’unica conclusione: si trattava della prima Dallara Sport costruita, quella che nel 1972 aveva disputato il Trofeo AC Parma con Bruno Pescia. Fu allora che ci rivolgemmo a Francesco Cazzaniga, all’epoca motorista di Dallara (e che lavora tutt’oggi per Dallara, pur avendo una propria azienda) per ottenere alcune indicazioni. Allo stesso tempo fu svolto un lavoro di expertise dai fratelli Mendogni, che posseggono ancora gli stampi originali della carrozzeria e che si sono quindi rivelati di grande aiuto per la ricostruzione di quello che è un tratto peculiare della Dallara n°1: il guscio di tipo monolitico, sollevabile sia anteriormente che posteriormente per accedere agli organi meccanici. Diversa anche la modalità di apertura degli sportelli. L’operazione di restauro, anche se lunga poteva essere affrontata con relativa sicurezza, visto che la vettura, pur essendo ormai molto modificata, conservava tutti i pezzi del telaio e il motore originale”. 

La vettura fotografata al Museo Dallara di Varano
de' Melegari, dicembre 2018 (foto David Tarallo). 
Il restauro della parte lamierata, in primis la ricostruzione dei due longheroni asportati a seguito della conversione in biposto, è opera di Marciano di Pisa, mentre a Grotti si deve la ripulitura e la risistemazione della carrozzeria”. La parte meccanica l’ha invece curata Pier Luigi Muccini insieme a Moreno Casalini, il costruttore delle moderne “CMS” di categoria CN. Casalini ha svolto anche la rifinitura generale (verniciatura, replica dei loghi originali, paratie…).
La Dallara-Fiat, quasi definitivamente completata, è stata esposta per la prima volta all’inizio del 2004, in occasione di una rassegna motoristica ad Empoli. La preparazione meccanica è stata impostata fin dall’inizio in funzione di un reale impiego agonistico: dopo il mancato debutto alla salita di Cortona, Pier Luigi Muccini si è presentato alla Vernasca Silver Flag e continuerà ad utilizzare la Dallara 1000 in pista e nelle gare in salita per autostoriche.


30 gennaio 2020

Rassegna stampa: AutoModélisme n.263 (gennaio 2020). I modelli in grande scala: qualche considerazione poco ortodossa

C'è troppo 1:43 nelle riviste? Niente paura, AutoModélisme risolve il problema alla radice ed esce con un numero speciale "grandes échelles". Evviva. Spazio a go-go quindi per 1:18, 1:12 e anche 1:8. Grande è bello, enorme ancora meglio, e le notizie che arrivano dal Salone di Norimberga appena aperto vanno in questa direzione. Non è nemmeno una novità; del resto già da qualche anno la 1:18 ha preso piede, affiancata in modo sempre più deciso dall'1:12. Evidentemente i collezionisti hanno dei capannoni a disposizione. Un numero di AutoModélisme esclusivamente dedicato alle scale grandi è il segno dei tempi. In copertina, la Alpine A110 1300G in 1:12 di OttOmobile che è andata esaurita qualche ora dopo l'annuncio ufficiale dell'uscita. O c'è veramente una richiesta enorme per questo tipo di modelli oppure ne hanno prodotte molte meno di quante ne hanno annunciate. O tutte e due le cose.
Un numero come questo mi fa uno strano effetto. Belle, per carità, le creazioni da zero di un modellista eccezionale come Michel Ortiz-Vinay; impressionante anche la collezione di un appassionato italiano che ha voluto restare anonimo, che ha la casa piena di Amalgam, modelli da galleria del vento (ma qui si sfora nei memorabilia, è già un'altra cosa), più roba varia che spazia dagli Spark agli MG Model, dai kit Tamiya montati agli esemplari unici o quasi di Thiele Concept. Eppure tutta sta mappazza di modelloni mi stucca. Scusate ma le rassegne stampa servono anche a commentare, e i commenti per loro natura sono quanto di più soggettivo ci possa essere. Quando penso alle grandi scale mi vengono in mente due produttori diversi fra loro ma che per un motivo o per un altro mi stanno particolarmente a cuore: Togi e Mamone. Mi rendo conto che siamo anni luce, per concetto e spirito, da un OttOmobile o da un Kyosho. Eppure queste grandi scale mi lasciano sempre un po' deluso. Un 1:43 secondo me ha un suo equilibrio naturale che un 1:18, a meno di non essere perfetto, non ha. Un 1:43 non ha bisogno di essere perfetto, un 1:18 o un 1:12 sì. Esistono le eccezioni storiche, come ad esempio il classico kit della Porsche 934 di Tamiya in 1:12, che è di per sé ormai un'icona del modellismo. Ma il resto io lo ricollego ai trogloditi che si accapigliano sui gruppi di Facebook spaccando il capello in quattro sulla Punto GT di assuocuggino o sulla Lancia Delta Integrale che guai a toccarla che scateni le orde dei tifosi talebani. "Ammiocuggino ne ha avute quattro"; "io ne ho guidata una a tre anni;" "quel verde non è originale, le verniciavo tutte io"; "ammiocuggino era Alen"; "io ero Biasion". 

Qualche 1:18 lo metterei in collezione, e ci ho anche provato ma ho sempre fatalmente finito per liberarmene alla prima offerta seria. La maggior parte degli 1:18, poi, sono di produzione cinese e almeno nei diecast conosciamo bene a cosa rischiamo di andare incontro. I modelli in resina sembrano offrire maggiori garanzie quanto a durata dei materiali, ma moltissimi di questi sono guastati da semplificazioni costruttive che la maggior parte dell'informazione specializzata continua a ignorare, e non è neanche il caso di chiedersi perché. Ripongo quindi abbastanza in fretta il numero di gennaio 2020 di AutoModélism come qualcosa di molto lontano dal mio modo di vedere il modellismo. Evidentemente o ci sei nato o questi modelli non li capirai mai del tutto. Alain Geslin scrive nel suo editoriale: "les plus intégristes qui ne jurent que par le 1/43e ne pourront qu'etre émoustillés en admirant de telles oeuvres. Ou ils n'aiment pas les 'miniatures' au sens large du terme...". La seconda che ha detto. Pur non essendo un integralista in nulla, le scale grandi non le amo. E se questo vuol dire non amare i modelli nel senso largo del termine, a me sta anche bene. Può essere anche vero. A certe condizioni, preferisco un libro di automobilismo, di quelli belli, o fare una serie di foto a una gara vera.

29 gennaio 2020

Sulle tracce di Giulio e Carlo Masetti a qualche anno di distanza dal libro di Maurizio Mazzoni



La tradizione dei piloti fiorentini degli anni venti e trenta è stata in parte resa agli onori delle cronache storiche da alcuni ricercatori che in tempi recenti si sono accollati il non facile compito di scavare nella memoria e nei rari archivi rimasti. Stranamente non parlai nel blog della presentazione a San Piero a Sieve nel novembre del 2013 di un libro scritto da Maurizio Mazzoni sulla vita e le corse dei due fratelli Masetti, Giulio e Carlo. In quell'occasione era intervenuta anche la contessa Mario Castelbarco Albani, moglie del figlio della sorella di Giulio e Carlo, Maria Graziella, nata nel 1901 e deceduta nel 1988. Com'è noto, invece, Giulio morì nell'edizione 1926 della Targa Florio (era nato nel 1894), mentre il fratello Carlo di tre anni più giovane, morì nel 1965. La famiglia Masetti de' Danielli da Bagnano ha una storia che ovviamente va oltre la notorietà dei due piloti, ma forse è bene ricordare come Giulio e Carlo siano parte integrante della storia fiorentina con la loro presenza e il loro stretto rapporto con la chiesa di San Miniato al Monte e il suo cimitero monumentale. Descrive questo legame di famiglia un volume uscito non molto tempo fa per i tipi di Pagnini Editore, nella collana "Chiese e popoli".

La pubblicazione è a cura di Marion Castelbarco Albani, che intervenne anche alla presentazione del libro del Mazzoni sorprendendo tutti con una magnifica Targa Florio (quella originale) non ricordo più se dell'edizione 1921 o '22 (Giulio Masetti le vinse rispettivamente con una Fiat e una Mercedes). Pubblichiamo una foto della Targa scattata in occasione dell'evento di San Piero a Sieve del 2013. Questo libro della contessa Castelbarco Albani fa pensare che in tempi non tanto lontani ulteriori ricerche possano essere condotte sulla carriera sportiva dei Masetti, visto il tanto materiale che ancora resta da ritrovare e da classificare dopo il peraltro eccellente lavoro di Maurizio Mazzoni.

28 gennaio 2020

Ford Escort MkII RS Gruppo 5 Toshiba DRM 1977: serie limitata di Remember


Serie limitata di una versione della Escort Gruppo 5 che non si vedeva dai tempi del transkit GC Hobby. A Zolder, in occasione della Westfalen-Pokal del 1977, prova valida per il DRM, il team Zakspeed schierò una terza vettura, oltre a quelle di Hans Heyer e Armin Hahne. A differenza di questa, sponsorizzate dalla Mampe, la terza macchina, affidata a Thomas Betzler, era decorata nei colori Toshiba. Il modello Remember è come al solito in resina con particolari in resina e metallo bianco; i cerchi sono torniti con parte centrale fotoincisa. Il link per l'acquisto del modello è il seguente: 
https://www.etsy.com/listing/760175684/ford-escort-rs-gr5-zakspeed-toshiba-drm?ref=listing_published_alert



27 gennaio 2020

Storie di modelli (episodio 1): la Ferrari 512S Spyder Brands Hatch 1970 di Classic Car, un desultorio ma storico thread su un modello dimenticato

Nei miei archivi ci sono decine di migliaia di foto di vecchi modelli passati in collezione, molti dei quali venduti da tanti anni. Alcuni di essi forse li rimpiango, ma avere le immagini serve comunque a illustrare un passato modellistico che è destinato a non tornare. Su alcuni di essi, i ricordi personali si affastellano senza soluzione di continuità, legati a momenti particolari, a istanti vissuti che sanno di tempi perduti, di persone che non ci sono più, di luoghi ormai irraggiungibili eccetera. Insomma, in quanto collezionisti, sapete bene di cosa parlo.

Non so perché aspettai la Ferrari 512S Spyder Brands Hatch 1970 di Classic Car (un marchio di GPM) per mesi e mesi. Anzi, lo so: nei primi anni ottanta le riproduzioni della 512S, coupé o spyder, erano rarissime. C'era il modello Solido, che si difendeva più che bene, ma altre riproduzioni artigianali rivestivano carattere semi-mitologico, a livello della chimera. Rari erano quelli che potevano dire di aver visto dal vivo un Etruria Model, ad esempio. La 512S Spyder (prevista nella sola versione Merzario / Amon) si fece attendere molto. Sul TSSK i fratelli Tron pubblicarono una foto dell'auto vera, sotto il diluvio di quella gara famosa, che mi fece sognare per molti mesi. Eh, sì, allora si ragionava a mesi, non col cronometro sotto mano, ma col calendario. Il modello finalmente uscì, mi pare tra la fine del 1983 e l'inizio del 1984 e arrivò immancabilmente dal negozio di Loano nella sua bella scatolina con le strisce, tipica della produzione Grand Prix Models, che in quel periodo aveva buttato un bel sasso nello stagno con una serie favolosa (almeno per l'epoca) di transkit per la Porsche 917 di Pilen. Altra storia. Torniamo alla 512S. La fusione era quella che era, ma il kit si faceva apprezzare per il cofano posteriore asportabile e una riproduzione tutto sommato decente del propulsore. Dicevo delle fusioni: l'archetto del vetrone anteriore era ricavato in pezzo unico con la carrozzeria, con risultati quantomeno approssimativi.
Ci volle l'aiuto di Mariocarafa (scritto tutto di seguito, andate a cercare nel blog il perché) che nel suo laboratorio di Via Lorenzo il Magnifico a Firenze mi sistemò l'archetto con un pezzo di ottone. Purtroppo non avevo portato dietro l'acetato e tutto venne fatto inevitabilmente a occhio. Il kit, per la verità, riposò dentro un armadietto per parecchi anni, fino al 1992 o giù di lì, quando venne montato da Giovanni Faraoni, un modellista pisano molto bravo che bazzicava anche il negozio di Luciano Rocchi e quello di Rinaldo Stralanchi (Rossocorsa). Giovanni mi montò il modello, facendo diversi cambiamenti e apportando delle migliorie. Il risultato fu soddisfacente, anche se la documentazione dell'epoca non era al livello di quella che abbiamo oggi. Finalmente la lunga storia della 512S di Classic Car poteva dirsi conclusa.

Dei Grand Prix Models mi affascinavano le istruzioni impaginate con tipica grafica britannica, con un bel testo generale che spiegava i come e i perché dei montaggi dei modelli speciali. Ricordo che una volta mi ispirai a questo testo per un compito d'inglese in V Ginnasio e ci feci un figurone. Alla fine delle istruzioni, Brian Harvey raccomandava pazienza e si augurava che il montatore avesse "steady hands" per evitare pastrocchi, sempre dietro l'angolo soprattutto con kit di quella complessità. Della 512S di Classic Car / GPM non conservo che delle foto.

Essa è stata venduta nel novembre del 2006, quindi già un bel po' di tempo fa. Parlavo di queste vecchie immagini. Se vi interessa potrò fare altri pezzi con foto di altri modelli che hanno segnato la vicenda collezionistica mia e penso di altri appassionati che negli anni 80/90 avevano a che fare con gli speciali. A tutti, come sempre, grazie per il vostro supporto. In questa apertura d'anno il blog sta ottenendo risultati lusinghieri come visite e visibilità.

26 gennaio 2020

Il kit della Mitsubishi Starion rally 1:43 fra i programmi di Eliomodels

Eliomodels ha annunciato la produzione di una serie di kit 1:43 della Mitsubishi Starion rally (piloti Pentti Airikkala per le due versioni Ralliart e Austin MacHale). Dei kit si occuperà Alfonso Marchetta. 
(foto di rallyretro.com)



25 gennaio 2020

Un'occhiata al Tamiya Model Magazine International (n.163, gennaio-febbraio 2020)


Il TMMI, malgrado qualche flessione nella consistenza degli articoli, costituisce pur sempre una lettura gradevole, soprattutto per chi è curioso di trarre vantaggio da alcune tecniche del "militare", applicandole all'automodellismo che più ci compete. E in ogni caso in ciascun numero sono presenti uno o due pezzi elaborati,  espressamente dedicati alle auto più un altro paio di recensioni flash. In questo numero dell'edizione in francese di gennaio-febbraio 2020 troviamo un bell'articolo di Robert Riley sulla conversione di un kit Beemax (BMW M3 E30 1:24) in una versione del BTCC con l'utilizzo di una plancia di decals Studio27. Interessante anche la recensione del mitico kit Tamiya della Porsche 934 Jagermeister in scala 1:12 dotato stavolta di elementi fotoincisi. Questo kit, a distanza di tanti anni, resta un classico, ancora attuale per l'accuratezza delle linee e la finezza dei dettagli.


24 gennaio 2020

Accordo a Daytona fra IMSA e ACO: le LMDh potranno correre nel FIA WEC insieme alle Le Mans Hypercar

Jim France, presidente IMSA e Pierre Fillon,
presidente ACO, firmano l'accordo di massima sulla
nuova classe LMDh (credit: Mike Meadows / IMSA)
In occasione della 24 Ore di Daytona, ACO e IMSA hanno svelato i tratti salienti di una piattaforma regolamentare comune concernente i prototipi. La nuova categoria LMDh sarà estesa anche al FIA WEC, oltre a rappresentare la classe di punta nell’IMSA WeatherTech Sportscar Championship. Questa piattaforma comune risponde – così dicono i legislatori tecnici – a numerose richieste dei costruttori. ACO e IMSA hanno pertanto stabilito un insieme di normative per la LMDh, con l’obiettivo di essere pronti a partire dal settembre 2021 nel FIA WEC e dal gennaio 2022 per il campionato IMSA. Le due associazioni si sono ispirate ad alcune direttive presenti nei rispettivi campionati (regolamento Hypercar per l’ACO, regolamento DPi 2.0 per l’IMSA. In virtù di queste premesse, il nuovo regolamento LMDh si presenta con queste caratteristiche fondamentali: chassis comune ispirato al concetto delle Hypercar Le Mans e delle LMP2, costruito dai quattro marchi che attualmente hanno l’esclusiva di fornitura della LMP2: Dallara, Ligier, Multimatic e Oreca. Questo nuovo telaio sarà anche utilizzato nella classe LMP2. La vettura sarà dotata di sistema ibrido monotipo, agente sull’asse posteriore, di tipologia KERS. La silhouette delle vetture sarà adattata alla marca del costruttore che fornirà la motorizzazione. Maggiori dettagli saranno forniti a marzo, in occasione della 12 Ore di Sebring. Per ora si sa che un balance of performance è già programmato per equiparare le prestazioni delle LMDh con quelle delle Le Mans Hypercar. Le LMDh potranno quindi correre indistintamente nel WEC e nell'IMSA, facilitando l'ingresso di nuovi costruttori e rimpolpando le griglie di partenza in modo - così almeno sembra - razionale. Del resto le lotte e i periodi di guerra fredda tra ACO e IMSA sono noti a tutti, ma stavolta pare che il buon senso abbia prevalso, con una normativa che consentirà ancora più varietà. 

Stefano Adami torna a realizzare serie limitate in scala 1:43. Due Porsche 934 IMSA.

Erano molti anni, credo, che Stefano Adami non usciva con qualcosa di proprio; alcuni ricorderanno le sue serie limitate in 1:43, intorno al 2005 o 2006 se non andiamo errati. Ne è passato di tempo, e ora Adami propone due Porsche IMSA su base Arena. 

Come suo solito, molte le modifiche apportate per queste versioni che interesseranno sicuramente diverse fasce di appassionati. Si tratta della 934 numero 03 che prese parte alla 5 Ore di Riverside 1980 con Werner Frank e Roger Schramm e della 934 numero 91 del team Electrodyne che partecipò alla 6 Ore di Mosport con Chester Vincentz e Derek Bell. Sicuramente non ce ne sarà per tutti, visto che la tiratura è limitata a tre pezzi per ciascuna versione. Questi modelli escono sotto il marchio USA43. 



Spark annuncia la riedizione (1:43) di quattro storiche Ford del 1966. Le Mans, Daytona, Sebring

Forse anche sull'onda del successo del film Le Mans '66, Spark ha annunciato per il secondo trimestre dell'anno l'uscita di quattro modelli di Ford già realizzati a suo tempo e ormai esauriti. Ecco il dettaglio delle referenze: 
S4075 Ford Mk.II Le Mans 1966 #1 Miles/Hulme
S4076 Ford Mk.II Le Mans 1966 #5 Bucknum/Hutcherson
43DA66 Ford Mk.II 24h Daytona 1966 #98 Miles/Ruby
43SA66 Ford GT-X1 12h Sebring 1966 #1 Miles/Ruby

Questi ultimi due modelli rientrano nella serie delle vetture vincenti di Daytona e di Sebring. 




23 gennaio 2020

Il secondo Tokoloshe della nuova serie: Ferrari 412P Ecurie Francorchamps prove Daytona 1967


Dopo la Ferrari 250 GTO 4491GT della 1000km del Nurburgring 1965 che vi abbiamo presentato sul blog qualche tempo fa, è la volta di un altro modello della serie Tokoloshe (catalogo TOK22), proposto ovviamente montato come da tradizione e a un prezzo molto competitivo, € 59,95. 
La versione prescelta è il telaio 0850 della Ferrari 330 P3/P4, altrimenti detta 412P, schierata alla 24 Ore di Daytona 1967 dall'Ecurie Francorchamps per Willy Mairesse e "Beurlys". 

La peculiarità di questo modello è che riproduce la versione prove, ovvero quella con i numeri di gara tutti neri e non ancora scontornati di rosso. Il modello è acquistabile al seguente link: https://www.geminimodelcars.com/listing/772810023/ferrari-330-p34-ch0850-ecurie

22 gennaio 2020

Tommasoner Art Models realizza il veicolo trasporto truppe Puma in 1:87

Le creazioni di Tommasoner Art Models (Tommaso Venturato) in scala 1:87 sono ampiamente apprezzate. Si tratta di modelli artigianali in resina concepiti e montati con grande cura ed esattezza storica e sul blog ci siamo già occupati di altre uscite. Ora Tommasoner propone il veicolo Puma per trasporto truppe, già disponibile in tre diverse livree: bianco, verde NATO, mimetico. Per l'acquisto il sito di Tommasoner è www.tommasonerartmodels.com





21 gennaio 2020

Focus su Alfa Romeo Tipo 33/1967 di Patrick Dasse e Martin Übelher e sulla serie Alfa Romeo di Dingwort Verlag

In molti mi hanno chiesto, nel corso di questi mesi, un parere sulla serie dei titoli Alfa Romeo usciti presso la casa editrice Dingwort. Dalla Giulia alla Junior Zagato, dalla Montreal alla Giulia GT fino alla fabbrica Alfa Romeo di Arese, questi volumi raccolgono documentazione per lo più inedita dell'epoca, con moltissime foto e pochi testi (peraltro validi, in inglese e in tedesco). 


Dico subito che varrebbe la pena averli tutti. Ringrazio la libreria Gilena per avermi spedito il volume forse più interessante per gli appassionati di corse, quello sulla Tipo 33 del 1967, scritto da Patrick Dasse e Martin Übelher. Dai primi prototipi fino alle ultime apparizioni a saloni, è ripercorsa in oltre 300 pagine l'intera annata 1967, evento per evento, con una dovizia di particolari e di immagini che finora non si era mai vista. Non mancano naturalmente il coupé di Scaglione o l'Osi Scarabeo, né la Brabham BT23 che montò una versione portata a 2.5 litri del V8 Alfa Romeo alla Tasman Cup nel novembre-dicembre 1967 (la versione da 2500cc di questo propulsore, poi montata anche sulle 33 prototipo, continuò ad essere chiamata "Tasman"). 

Un volume quindi prezioso, non solo per le gare famose, ma anche per quelle meno conosciute e per le apparizioni che la 33 fece in test, esposizioni e premiazioni. Agli inizi di dicembre 1967 iniziarono a circolare le prime immagini di quella che sarebbe stata la 33/2 del 1968, e il volume termina, prima di occuparsi della Scarabeo, con le foto della vettura destinata ad esordire alla 24 Ore di Daytona. 

La serie di questi volumi è destinata a continuare e l'editore ha già annunciato l'uscita di un volume proprio sulla 33/2 del 1968.