25 luglio 2018

AutoModélisme Hors Série n.23: 24h du Mans 2018



E' disponibile da un paio di settimane quello che è ormai un classico dell'estate, l'hors-série di AutoModélisme dedicato alla 24 Ore di Le Mans. Il fascicolo, che contiene le foto dettagliate di tutti i partecipanti alla gara della Sarthe, esce puntualmente dal 1998 ed è un utilissimo strumento per i modellisti e i collezionisti in genere. Per ogni vettura sono presenti mediamente 8-9 foto, per arrivare a 12-13 per i vincitori e per qualche soggetto particolarmente interessante come la Porsche 911 RSR rosa numero 92. Le foto sono molto valide, anche se mancano in alcuni casi le viste da tergo: come avevamo segnalato già negli anni scorsi, i gruppi di foto non sono perfettamente omogenei, come invece capitava più sovente nelle prime edizioni dell'Hors-Série. A parte questo, il prodotto è validissimo ed economico: in Francia costa € 6,90. A pagina 72 è presente anche un piccolo bonus modellistico, con qualche foto e commento di ciò che si poteva trovare sul circuito nella settimana della 24 Ore. 

24 luglio 2018

Rassegna stampa: Modelli Auto n.132 (secondo trimestre 2018)


Mentre scrivevo nel titolo "secondo trimestre" mi sono venuti in mente quelli che si lamentano che Modelli Auto costa troppo. Vabbè, fiato sprecato. In realtà il secondo numero del 2018 presenta svariati motivi d'interesse e conferma che i contenuti stanno crescendo di livello e di qualità, senza perdere di vista i normali compromessi necessari per una rivista che va in edicola. La tecnica è ben presente, con ottimi montaggi (fra cui l'Alfa Romeo GT Sprint di Prini in scala 1:24), recensioni, visite e curiosità che è difficile trovare altrove. Spesso si paragona Modelli Auto a AutoModélisme. Chissà se il paragone può reggere ancora, visto che le due testate hanno adottato, almeno in parte, strategie diverse, oltre ad una cadenza differente che impone scelte ben determinate. Come ho scritto tante altre volte, recensire una rivista alla quale si collabora non è mai facile, ma penso che a Modelli Auto vada riconosciuto il merito di aver saputo cambiare rotta, e questa non è una cosa da tutti. Poi siamo in Italia, con tutti i pro e i contro del caso. E a proposito di caso, credo che non lo sia il fatto che la rivista riceva più complimenti da lettori esteri che non dagli italiani, spesso solo pronti a criticare per ragioni futili o semplicemente per amor di sport nazionale. 

22 luglio 2018

Divagazione sul tema: chi è il collezionista?

Dei molti libri dedicati al collezionismo, veramente pochissimi tracciano un ritratto psicologico del collezionista, e direi nessun si occupa del nostro settore. Ciononostante, qualche volume che - magari di sfuggita - affronta l'argomelore nto prendendo in esame altre nicchie esiste: un paio di mesi fa ho avuto occasione di ritrovare in libreria una specie di classico per chi si occupa di arte contemporanea, "Il sistema dell'arte contemporanea", scritto da Francesco Poli. Uscito presso Laterza nel 1999, questo testo ha riscosso notevole fortuna, con una seconda edizione aggiornata nel 2007 e una terza edizione con nuova prefazione nel 2011. Attualmente è disponibile nella collana laterziana "Universale" (€ 14,00), ed è una lettura che mi sentirei di consigliare a prescindere. Il libro delinea il panorama legato al mercato dell'arte, alla domanda e all'offerta, e un capitolo è quasi inevitabilmente dedicato al collezionista.

 Si tratta per la verità, in un libro molto completo ed esauriente, di una disamina piuttosto lacunosa, perché forse non tiene conto che gran parte degli aspetti psicologici sono comuni a chi colleziona tappini e a chi spende milioni di euro per accaparrarsi un'opera di Damien Hirst. Insomma, i moventi del collezionismo non necessariamente si possono dividere in due grandi categorie, come suggerisce l'autore: tra gli "oggetti che di per sé non hanno particolare valore culturale o venale" e la seconda categoria di oggetti, quantificata dal "valore ed economico". Lo slittamento da una categoria all'altra è molto comune e porta anche a infinite sfumature, per cui direi che questa prima distinzione è quantomeno parziale e un po' opinabile. Nel capitolo non troviamo molte delle più classiche (e sempre valide?) motivazioni addotte per spiegare il fenomeno collezionistico, come la necessità di riempire vuoti e roba varia. Non tutti i collezionisti affastellano roba per compensare mancanze di qualunque genere.

Il capitolo quindi non fa abbastanza luce sull'aspetto psicologico-psicanalitico, concentrandosi piuttosto sui comportamenti legati al mercato dell'arte. Qua e là, tuttavia, emergono alcuni punti fermi dello studio del fenomeno collezionistico, a cominciare dalle note, ormai storiche, di Jean Baudrillard che già alla fine degli anni sessanta, quando il collezionismo tendeva a essere separato dalle logiche legate al mercato e alla creazione degli oggetti (forse perché ritenuto un elemento "spurio" o addirittura "impuro"?) notava come l'accumulazione seriale di oggetti identici possa assurgere a un livello culturalmente significativo quando questi oggetti sono forniti di "progetti": ovvero quando dietro all'acquisto esista una linea guida o un interesse legato alla loro storia, alla loro funzione e alla loro natura.


Peraltro, qualche anno prima Mario Praz (egli stesso collezionista incallito) sosteneva che "sottoposta alla psicoanalisi, la figura del collezionista non ne esce bene, e dal punto di vista etico è certamente in lui qualcosa di profondamente egoistico e limitato, di gretto addirittura". Quasi una sintesi quella di Bruno Toscano: "Remote tendenze ritualistiche, curiosità, erudizione, devozione, prestigio e desiderio di innalzarsi, gusto della scoperta e della previsione dei valori, calcolo speculativo: tutti insieme o soltanto alcuni di questi moventi si associano tra loro e con l'interesse artistico, dando luogo ad una quantità di combinazioni e varianti cui corrisponde puntualmente l'eterogeneità del materiale umano, la ricca gamma delle psicologie e degli umori".

Qui siamo più sulla descrizione di un fenomeno che sulla determinazione delle sue cause più remote, ma me la sento di condividere le parole dell'autore quando afferma che a volte si può parlare di un'attrazione quasi patologica per il collezionare, in quanto attività soddisfacente per se stessa. "Per molti - scrive Francesco Poli - la propria collezione diventa una realtà totalizzante, in cui proiettare interamente la propria identità, come fosse una sorta di organismo dotato di vita autonoma: costoro non sono tanto dei possessori quanto dei posseduti". Qui ci avviciniamo di qualche grado alla ricerca dei veri moventi dell'accumulo seriale. Non sarei d'accordo su una seconda distinzione proposta dal capitolo, che separa i collezionisti emozionali da quelli in grado di ragionare con logiche più propriamente economiche. C'è l'uno e l'altro in un solo collezionista, anche se con varie sfumature secondo la competenza, la capacità d'acquisto e naturalmente la personalità. Ciò che non di rado accomuna collezionisti d'arte e altri collezionisti è l'interesse monotematico, che spesso sfocia in comportamenti ossessivi e maniacali. Per l'arte si può pensare a un Giuseppe Verzocchi, il celebre industriale del mattone che aveva messo su una collezione notevole di quadri, tutti caratterizzati dalla presenza del mattone refrattario con tanto di logo "V&D", che era quello della sua azienda, la Verzocchi & de Romano.


Altri collezionisti d'arte raccolgono solo opere che rappresentano esclusivamente fiori, animali, nature morte, determinate città, personaggi, arti, mestieri e così via. Non diversamente alcuni dei "nostri" collezionisti raccolgono solo modelli di un determinato costruttore (e fin qui siamo ancora in una certa normalità), mentre altri si confinano nell'accumulo seriale di autovetture di un solo pilota, di una sola gara, fino ad arrivare a fissazioni come quelle legate a un determinato sponsor, e qui è già più difficile stargli dietro, visto che poi si trovano a infilare in collezione modelli che con quello sponsor non hanno niente a che vedere, salvo un adesivino minuscolo attaccato alla carrozzeria chissà per quale motivo. Ancora una volta l'argomento è stato solo sfiorato, non certo esaurito, anche se nel blog sono già apparsi post di questo tipo. Indubbiamente il tema è affascinante e si ripresenta ogni volta sotto vesti nuove. Certo è che un vaccino al collezionismo non è stato ancora trovato. Chissà perché.

21 luglio 2018

Un Enzo Ferrari in scala 1:18 da Le Mans Miniatures


Disponibile da Le Mans Miniatures un figurino in scala 1:18 di Enzo Ferrari. In resina, dipinto a mano, raffigura un Ferrari anni 50-primi 60, appoggiato a un muretto, intento a leggere un giornale sportivo, Motori nel mondo. Per l'ambientazione ci si è ispirati a una foto dell'epoca, e il risultato è piuttosto riuscito anche se i tratti somatici di Ferrari non sono stati rappresentati a dovere. Altri figurini di Le Mans Miniatures, come Fangio, Hunt, Siffert, Ickx o Pescarolo sono meglio riusciti sotto questo aspetto.


In ogni caso l'insieme è di buona qualità, compreso il giornale, riprodotto in lamierino con le pagine tampografate; Ferrari ha gli occhiali con le lenti in acetato e l'ambientazione è corretta. Con la diffusione della scala 1:18, questo sarà sicuramente un articolo ricercato dai collezionisti. E quando si tratta di Ferrari...


18 luglio 2018

Fiat 124 Spider di Mondo Motors: una scelta economica


La Fiat 124 Spider è già uscita presso marchi prestigiosi come BBR, che ne hanno ricavato riproduzioni molto belle e a costi tutto sommato accettabili vista la qualità dell'esecuzione. Attendendo poi l'Abarth della stessa BBR, la versione "cattiva" della 124 è disponibile nel catalogo di True Scale Miniatures. A questi modelli dettagliati si aggiunge un'alternativa di tutt'altro segno, caratterizzata da un prezzo bassissimo (si trova a € 2,50 nelle Coop e altrove) e da una carrozzeria in plastica montata su una base in zamac. Accanto ai normali modelli in metallo, Mondo Motors ha diverse referenze in plastica e anche per la 124 Spider è stata scelta questa soluzione.


Le carrozzerie di questa serie si contraddistinguono per un aspetto ancora più povero rispetto alle riproduzioni in zamac, anche perché in questo caso la colorazione del materiale dà una finitura lattescente che in certe tonalità risulta alquanto giocattolesca. Il bianco della 124 Spider, per fortuna, non è fra i colori peggiori e in questo caso l'effetto non è eccessivamente plasticoso. Le forme del modello sono corrette, visto che i produttori si avvalgono delle matematiche fornite direttamente dalle case.


I gruppi ottici,in plastica, sono riportati, e gli interni sono riprodotti con sufficiente definizione. I marchi Fiat sul cofano e sul portabagagli sono tampografati. Più che accettabile è il parabrezza con i tergi stampati e la cornice color alluminio. Il punto debole sono le ruote, di diametro troppo generoso e con gomme (in un pezzo unico col cerchio) troppo largo. In ogni caso questa 124 Spider resta per il prezzo un modello decoroso, che potrà costituire una valida base per elaborazioni di vario tipo.


16 luglio 2018

Le 24 Heures du Mans, les années légendaires (années 50-80), un libro di Joël Béroul

Libri sulla 24 Ore di Le Mans continuano a uscirne, più o meno belli, più o meno interessanti, più o meno utili. Questo volume, pubblicato da Ouest-France qualche settimana fa, è un esempio di come si possa ancora fare qualcosa su una corsa come la 24 Ore conservando un'originalità che dovrebbe sempre contraddistinguere ogni titolo che esce. Si tratta di un ritratto della gara, attraverso le immagini inedite di Henri Béroul, fotografo storico a Le Mans che cessò l'attività nel 1979 dopo aver aperto un negozio nel centro della capitale della Sarthe che col tempo diventò un punto di riferimento per gli appassionati. In questo libro, scritto dal figlio, la storia di Henri Béroul s'intreccia con la storia della gara, attraverso immagini di grande interesse anche documentario. Il libro è diviso per temi, abbracciando piloti, scuderie, momenti, usi e costumi della 24 Ore. 

Una girandola di auto, di anni, di particolari che sanno essere importanti nella settimana in cui Le Mans diventa la capitale del mondo sportivo automobilistico. Il pregio di una pubblicazione come questa è il saper descrivere quanto diversa è la 24 Ore, che conserva tutt'oggi un carattere imprescindibilmente "glocal". Suggestive le foto d'ambiente di fine anni settanta in cui si apprezza il lento passaggio da un periodo all'altro delle corse, in cui l'antico non aveva ancora fatto definitivamente spazio al moderno. Anche il piccolo negozio di Béroul era così, esattamente come Manou al Passage du commerce e altre piccole-grandi istituzioni che hanno fatto sì che andare a Le Mans fosse sempre una festa, parafrasando il testo di una celebre canzone. Questo libro è consigliabile a tutti, compresi quelli che su Le Mans hanno una biblioteca già bella completa.



15 luglio 2018

La Porsche 919 e suoi record: se questo è perdere smalto...

Dopo il ritiro dal WEC avvenuto alla fine del 2017, la Porsche ha avviato un programma denominato 919 World Tour, incentrato sul tentativo di battere i record sul giro dei più famosi circuiti mondiali. 
La 919 viene presentata ufficialmente al Salone di
Ginevra del 2014, prima di debuttare alla
6 Ore di Silverstone (foto David Tarallo)

La notizia non è certo fresca, ma ancora abbastanza fresco è il tentativo - riuscito - di migliorare sulla Nordschleife del Nuerburgring lo storico record che apparteneva a Stefan Bellof sulla 956 Gruppo C. Anche questo lo sanno anche i muri, ma si sono propagate come le onde di un maremoto i commenti sul web dei cosiddetti esperti e dei giudici supremi, soprattutto su Facebook e vari forum dove ovviamente vige la più becera regola dell'uno vale uno e il più spelacchiato leone da tastiera che passa di lì può aspirare alla stessa autorevolezza di un Norbert Singer o di un Wolfgang Ullrich, tanto per rimanere nel Gruppo tedesco...
919 tribute: la Porsche 919 si concede un anno
all'insegna della prestazione pura. 
La Porsche 919 in versione sperimentale, senza i lacci e lacciuoli del regolamento LMP1 ha polverizzato ogni record, prima a Spa, poi al 'Ring. Apriti cielo. Soprattutto per il record in Germania, la Porsche è stata tacciata di antisportività o di autocelebrazione velata di codardia. Il record di Bellof - si dice - era stato ottenuto con una vettura ottemperante a una normativa tecnica ben precisa, all'interno di una gara certificata dalla federazione internazionale e valevole per un campionato del mondo. D'accordo. Ma l'iniziativa di quest'anno legata alla 919 non è assolutamente un'offesa alla classe di un pilota come Bellof, né alla validità di una fantastica vettura quale fu la 956 degli anni ottanta. 

La 919 in configurazione record, impiegata
quest'anno nel world tour di congedo. 
Più semplicemente, vuole essere il coronamento di quattro anni agonistici in cui la 919 ha vinto tutto quello che c'era da vincere in gare vere, e oggi la Porsche sfrutta giustamente a livello pubblicitario i successi raggiunti. Alla casa di Stoccarda si rimprovera di pestare sul pedale della pura propaganda. E anche se così fosse, non sono anche le corse stessa una sorta di propaganda? Anzi, esse costituiscono la più facile delle pubblicità, e questo l'aveva capito anche uno come Enzo Ferrari. Del resto i record in solitario sono sempre esistiti, basti pensare ai primati ottenuti da Mark Donohue a Talladega con la Porsche 917/30 che aveva dominato la Can-Am. Si tratta di due discipline diverse, ognuna dei quali offre motivi d'interesse e di discussione tecnica. Del resto c'è chi come Peugeot e Toyota ha fatto parlare di sé per una-due stagioni prima di mettere una macchina in pista, dopo la presentazione di più o meno probabili manichini: se non hai il DNA vincente, l'anno migliore è quello in cui annunci l'avvio di un programma sportivo e la stampa ti segue nei test privati dove ovviamente nessuno può torcerti un capello. Peugeot, poi, ha vinto a Le Mans una volta su cinque con la tanto decantata 908 e Toyota quest'anno contro nessuno, dopo una serie impressionante di figuracce in mondovisione. 


Si lasci allora la Porsche utilizzare a livello mediatico il proprio successo, dopo aver conquistato tre 24 Ore di Le Mans consecutive, dopo aver sfiorato il colpaccio già alla sua prima partecipazione nel 2014. Evidentemente il primato tecnologico della Porsche deve far rabbia a qualcuno se, come ho letto su un forum, essa avrebbe "perso smalto dopo l'uscita della Cayenne". Ma di cosa stiamo parlando? Al di là del disgusto che provo verso ogni forma di SUV, la Porsche è stata una delle primissime marche a credere nel potenziale economico di questo tipo di veicoli, molto, ma molto prima che lo facessero ad esempio le nostrane Alfa Romeo e Maserati (tranquilli, fra un paio d'anni vedrete pure il SUV della Ferrari, non manca tanto). Dunque, perdere smalto dopo l'uscita del Cayenne. Vediamo cosa è successo, dopo l'uscita del Cayenne: Porsche ha vinto una 24 Ore di Daytona con una GT, impresa riuscita quasi a nessuno, ha tirato fuori la RS Spyder di LMP2, che tra l'altro si è aggiudicata la 12 Ore di Sebring nel 2008, presenti i più forti team di LMP1 e di LMP2 di allora, e poi è finalmente tornata nella categoria di vertice con la 919 Hybrid. A latere, numerosissimi sviluppi delle varie RSR di classe GT, che sono da sempre in cima alle classifiche, BoP o non BoP. Del resto una marca che ti tiene in piedi il mondo delle corse, qualche vantaggio regolamentare riesce ad accaparrarselo. L'automobilismo sportivo è anche politica, e una Ferrari che oggi si lamenta del BoP per la propria 488 GTE ha forse la memoria corta e sicuramente anche la coscienza sporca per tanti episodi del passato sui quali non è neanche più opportuno ritornare. Beh, comunque, se "perdere smalto" significa vincere tutto quello che c'è da vincere, con soluzioni sempre raffinate e con un'organizzazione seconda a nessuno, sapete che vi dico? Vi auguro di perdere smalto esattamente come ha fatto la Porsche dall'uscita del Cayenne. 

13 luglio 2018

Qualche idea originale: i figurini in 1:18 di Le Mans Miniatures (Juan-Manuel Fangio)

Fotoincisioni per i laccetti del casco e superfici
in acetato per gli occhialoni. Il Fangio di LMM è
piuttosto simpatico. 

Dei figurini in 1:43 prodotti da Le Mans Miniatures ci siamo già occupati in questo blog, e non del tutto in termini lusinghieri, visto il loro carattere un po' troppo industriale. Ma spesso è questione di gusti, e l'azienda che ha sede vicino a Le Mans (ma che produce in Cina secondo logiche abbastanza simili a Spark) ha altre frecce al proprio arco, come una simpatica serie di figurini in 1:18, rappresentanti diversi personaggi importanti della storia dell'auto. Alcuni sono fuori produzione, ma altri sono disponibili e via via se ne aggiungono sempre di nuovi. Di recente si è visto un Enzo Ferrari che legge il giornale (per la verità non troppo convincente), mentre a qualche tempo fa risale la realizzazione di un Juan Manuel Fangio anni cinquanta che come somiglianza somatica e come aspetto generale è uno dei più realistici.





03 luglio 2018

Prevista per settembre l'uscita della 16ma edizione della guida Ramsay's


Uscirà a fine settembre la sedicesima edizione della guida Ramsay's, la cui ultima versione risale al 2015. La Ramsay's è una delle guide più autorevoli nel campo dei diecast; questo libro tiene conto di tutte le produzioni diecast britanniche, con dati aggiornati sulle varianti emerse sul mercato e con i risultati delle più recenti vendite. La guida si può acquistare su www.ramsayspriceguide.com . Alla sua uscita le dedicheremo una recensione approfondita. 

01 luglio 2018

Come le vedevano: una vignetta per la borsa di Woluwe, novembre 1981

Ancora all'inizio degli anni ottanta, fra i collezionisti serpeggiava una certa frustrazione per la mancanza di soggetti interessanti che i produttori di diecast avevano completamente ignorato e che gli artigiani non avevano ancora inserito nei loro programmi. A proposito di diecast, alcune case come Gama, Schuco, Schabak, andavano specializzandosi in modelli più vicini alla realtà, grazie anche ad accordi con le case ufficiali. Solido, protagonista per tutti gli anni settanta a fianco delle declinanti Corgi e Dinky, iniziava ad accusare il peso della crisi, mentre la rivoluzione dei diecast più dettagliati come i Vitesse era ancora di là da venire.

Oggi i vari Politoys, Solido, Dinky e Corgi degli anni sessanta sono ricercati dai collezionisti di obsoleti, che riescono ad apprezzarli per quello che erano, ossia dei giocattoli, per quanto ben costruiti. Gli appassionati di modellismo dell'epoca, invece, quelli che montavano i kit e apprezzavano le varie produzioni di punta, vedevano in ciascuno di questi modelli un'occasione perduta. A livello di diecast c'era già Brumm, che tuttavia alternava riproduzioni ottime ad altre decisamente scadenti; c'era Rio, c'era stata Dugu, ma il periodo preso in considerazione (1900-40 circa) non era in grado di soddisfare le richieste di chi puntava soprattutto sugli anni recenti o sull'attualità. Nel catalogo di una delle famose borse di scambio di Woluwe (Bruxelles) apparve una buffa vignetta ad opera di un grafico locale che testimoniava la rabbia con la quale i collezionisti potevano accogliere qualche riproduzione decisamente... fuori parametro. Ce n'è per tutti i gusti, dalla Ford GT40 di Solido (caratterizzata da tutti i dettagli del cofano riprodotti da una semplice decal) alla Ferrari 500 della Brumm, paragonata a un'Auto Union, dalla ridicola Porsche Carrera RSR Turbo di Shinsei alla Lotus Europa di Politoys.  
Gli occhi per giudicare i collezionisti li avevano anche allora. Alcuni di quei modelli presi in giro in quella vignetta hanno avuto nel tempo la loro rivincita, ma chi desiderava una riproduzione fedele al prezzo competitivo senza svenarsi con uno speciale avrebbe dovuto attendere ancora diversi anni...