Augurare a tutti buon anno così, con due righe e basta, non era nello stile del blog. Allora vi faccio gli auguri con un piccolo flashback molto personale che questo periodo dell'anno mi fa tornare sempre alla memoria.
Questi sono i primi kit Solido che montai a 9 anni, una fine di dicembre. Niente di speciale, piuttosto brutti, verniciati con l'Humbrol a pennello, e con i colori neanche tanto giusti (soprattutto l'A110 rosa). Essi, tuttavia, come spesso capita con le cose di un lontano passato, nascondono il germe di interessi che poi ti accompagnano per tutta la vita. Nella fattispecie, i numeri alti delle vetture del Tour Auto. Quando li vedo, e quando vedo quel rettangolo bianco con la freccia rossa che disegna il caratteristico "ghirigoro" scatta una molla. Che è la stessa che ha fatto sì che la Stratos di Solido, quella con il numero 111, sia ormai fissa nella mia mente da sempre. E queste due Alpine lo stesso. Per il ghirigoro rosso sono disposto ad acquistare anche un diecast tradizionale, anche un po' sbagliato, come questa Opel Kadett GT/E Gruppo 1 del Tour '79 (beh, nel '79 il Tour già non era più il Tour, ma le placche e i numeroni c'erano ancora!).
E stavolta non guardiamo al fatto che le gomme siano quelle stradali, che i nomi dei piloti siano scritti male (Ccarr al posto di Clarr), che l'antenna sia troppo lunga e che la presenza dei fari di profondità sia quantomeno dubbiosa, oltre a tante altre piccole incongruenze. L'importante è che il cuore batta ancora quando vede il ghirigoro rosso - per me; per altri sarà lo stemma del Montecarlo, per altri quello della Carrera Panamericana, per altri ancora i numeri celesti verniciati a pennello della Targa Florio, per altri altri ancora gli stemmini gialloblù delle Le Mans degli anni settanta. Buon anno a tutti e un grazie particolare a tutti quelli che - come si suol dire - ci hanno messo del proprio.
Notizie, commenti, considerazioni e opinioni sul mondo del modellismo e dell'automobilismo, a cura di David Tarallo. ATTENZIONE, NUOVO SITO DAL 28 LUGLIO 2021: www.pitlaneitalia.com
31 dicembre 2012
30 dicembre 2012
MRF, la causa di tutto. Alle origini del kit francese in resina
Testo Umberto Cattani (con la
collaborazione di David Tarallo)
Foto Umberto Cattani-David Tarallo
La sigla MRF è un acronimo: sta per Mini Roues Fils. Scopo iniziale della dinamica firma provenzale era infatti la produzione di meravigliose ruote a raggi, ottenute grazie ad un paziente intreccio di fili metallici d'incredibile finezza. Se infatti guardiamo a quegli anni, nessun produttore tra i tanti scesi sul mercato poteva realizzare cerchi a raggi soddisfacenti, tutti optavano per cerchi in metallo bianco che, se da un lato accontentavano una cerchia di appassionati, dall'altro deludevano i più esigenti. La scoperta di questo accessorio rivoluzionò ben presto il settore. La qualità all'epoca non era eccellente, spesso le linee dei modelli era approssimativa, i dettagli essenziali ma, calzando scarpe MRF, l'occhio cadeva su questi cerchi, perdonando errori ed asimmetrie. Quante volte abbiamo sentito affermare: "E' un kit John Day ma guarda come è cambiato. con quelle ruotine MRF". Il modello aumentava subito di valore, come se una contadinella scendesse in città calzando scarpe di lusso!
Dietro questo marchio si celava, oltre Ripert, anche Calligaro, un collezionista conosciuto. I debutti furono incoraggianti, la domanda superava di gran lunga l'offerta, anche perché le ruote a raggi erano realizzate a mano e richiedevano tempo e mani esperte ed allenate per un perfetto allineamento. In Italia costavano 3500 lire, molto più di un set tradizionale ma al collezionista non importava, la spesa era giustificata dal prodotto esclusivo. La sede era in Rue Pastoret, come tutte le realtà di quegli anni constava in un piccolo laboratorio e nulla più.
Ben presto alla produzione di cerchi speciali si affiancò ciò che Calligaro e Ripert volevano fin dagli inizi, la realizzazione di kit di altissima qualità, da contrapporre alla concorrenza più agguerrita. Insomma, si voleva portare MRF al top di gamma, senza alcuna concessione. Per i prototipi ci si affidò a Gauthier, un artigiano abilissimo nella creazione di master. Per ottenere il massimo della finezza, si fece ricorso alla resina per le carrozzerie, un materiale che permetteva stampaggi eccellenti. C'era purtroppo un rovescio della medaglia. Il poliestere usato era infatti fragilissimo, andava maneggiato con estrema cura, alcuni dettagli, primi fra tutti i montanti delle carrozzerie, potevano spezzarsi con grande facilità. Per regalare peso al modello-erano molti allora i collezionisti che odiavano la leggerezza della resina-i pianali erano in metallo bianco di un certo spessore.
La produzione MRF inizialmente si focalizzò sui montati di grande qualità, in tiratura limitata a 500 esemplari. Il loro assemblaggio era impeccabile, il livello della verniciatura eccezionale, ma la reperibilità fu sempre problematica, grazie ad un successo immediato. Si potevano trovare alla borsa scambio di Marsiglia, andando direttamente in Rue Pastoret oppure contattando l'Equipe Tron che fu la prima a diffondere il marchio francese nel nostro mercato. All'epoca-siamo nel 1978-un MRF montato costava 45.000 lire, un po' meno di un AMR ma molto di più rispetto un nostrano ABC, ad esempio. La qualità già allora come adesso, si pagava.
Dopo qualche tempo si decise di lanciare
una linea di kit che riprendeva comunque quanto inizialmente realizzato in
serie montata. La lista prevedeva riproduzioni piuttosto assortite. Per il
debutto fu scelta l'Alfetta 158 di F1, cui seguirono in rapida successione la
Talbot Lago 4.5 F1, le Ferrari 365 GTS4 e 250 GT stradale oppure Tour
de France 1958, unitamente alla Mercedes 300 SLR, alle Porsche Turbo (3,0 e
3,3) e 935 nella livrea JMS Le Mans 1977.
Estremamente rara fu l'ultima Ferrari della serie, la berlinetta SWB a passo corto e finestrino angolare. Sempre per la tematica Porsche, uscirono la 911 SC in veste coupé e Targa ed una 911 SC gr.3, priva di decalcomanie. Il canto del cigno fu rappresentato dalla Porsche 935 Moby Dick nella configurazione test al Paul Ricard 1977.
I lettori più avanti negli anni ricorderanno l'originale confezione che conteneva il kit: un cilindro in plastica trasparente, su cui spesso si focalizzavano le attenzioni dei collezionisti quando riuscivano a trovarne uno in negozio. Il loro prezzo era competitivo, 18.000 lire in linea con prodotti molto più scadenti. Il montaggio, superata la fase delicata della manipolazione della resina, era facilitato da un accoppiamento dei particolari molto preciso. Se sui modelli in metallo la preparazione richiedeva tempo e fatica, con la resina poliestere bastavano spesso qualche colpo di lima e poco stucco per arrivare alla fase della verniciatura.
L'acetato termoformato entrava nella carrozzeria senza problemi e la finezza dei dettagli era sconosciuta a gran parte della concorrenza. Per le decalcomanie, ci si affidò inizialmente a Cartograf per la Ferrari 250 GT Tour de France e la Porsche Turbo ma la collaborazione ebbe vita brevissima.
I cerchi, quando non erano a raggi, sfruttavano torniture in alluminio, sulla Porsche si utilizzarono per la prima volta tergicristallo in rame mentre la Mercedes 300 SLR disponeva di aerofreno posteriore mobile. Per quegli anni, erano lussi che facevano davvero la differenza.Sul finire degli anni settanta iniziavano ad affacciarsi sul mercato i primi transkit, a volte semplici ma spesso laboriosi, costringevano infatti il modellista a faticosi adattamenti alle basi industriali, quasi sempre firmate Solido. Per facilitare questo lavoro, MRF produsse una serie di scocche, sempre in resina, studiate per adattarsi alla produzione Tron e Mini Racing. In ordine cronologico, uscirono l'Alpine A442, le Ford Escort MK Gr.1 e Gr.4, la Citroen Maserati in versione Milord, la BMW 2002 Gr.2, la Lancia Stratos Gr.4, la Renault R5 Gr.2, l'Alfetta GTV Gr.4, l'Alpine A110 la Porsche 928S. In media, questi variokit costavano un terzo rispetto il kit tradizionale.
Di pari passo, le ruote a raggi continuavano ad infiammare i desideri dei collezionisti, la concorrenza era infatti quasi inesistente. Le prime Ferrari 250 GTO firmate da André Marie Ruf calzavano questi accessori, celebri le liti tra André e Ripert cui l'artigiano di Vélizy imputava tempi di consegna biblici che rallentavano la commercializzazione del kit.
MRF non ebbe vita molto lunga, infatti già nel 1979 Calligaro e Ripert fondarono la Record, altra firma celebre nel panorama di quegli anni mentre alcuni prototipi saranno ripresi poi da Provence Moulage.
Se sarete lettori attenti ma soprattutto fedeli, vi racconteremo un poco alla volta la storia di Spark, passando attraverso le tappe MRF-Record-Starter, cercando di spiegarvi l'evoluzione che ha caratterizzato la famiglia Ripert nel corso di 35 anni.
Di padre in figlio l'amore per l'1/43 si è sviluppato secondo un'evoluzione costante ed attenta alle esigenze dei collezionisti. Una vita spesa tra passione e macchinine, il sogno di qualsiasi collezionista che si rispetti.
Foto Umberto Cattani-David Tarallo
Questo
speciale su MRF è nato in poco tempo. Ma è nato in poco tempo perché è un
argomento che ci appassiona e non ci abbiamo messo molto, Umberto e io, a
raccogliere il materiale necessario, curiosi di vederne il risultato finale.
Diciamo che in questo caso c’è stata ancora maggiore collaborazione fra noi,
anche se ad Umberto va il merito di avere progettato la struttura del pezzo e
di avere scritto il testo, con poche varianti. Le sue foto, poi, sono state
integrate da diverse cose che avevo in archivio. Per gli appassionati, il
marchio MRF è in un certo senso, la “causa di tutto” e trovo davvero azzeccato
il titolo che Umberto ha pensato per questa storia di MRF, che resta tuttavia
un marchio meno conosciuto di altri. Non penso sia stato scritto niente su
quella che è stata poi l’origine del kit francese in resina, salvo rare e
sporadiche note in qualche libro o in qualche rivista. L’occasione, quindi, è
quella giusta per affrontare il discorso dalle origini, ampliandolo poi con la
storia dei marchi immediatamente successivi a MRF, che tutto sommato ebbe vita
breve. Ma da MRF si è generato tutto il filone marsigliese, che ci ha dato
Record, Starter, Provence Moulage e che oggi continua con Spark e i suoi
accoliti. Iniziamo, quindi. Immaginatevi la Marsiglia di fine anni settanta.
Per maggiore realismo siamo andati a ripescare su Google Maps la mitica rue
Pastoret, così com’è oggi, e ci è apparsa in una bella giornata di sole; una
strada stretta ma caoticamente allegra, come molte strade di Marsiglia; piena
di magazzini, laboratori e gente che magari non ha la minima idea di cosa stia
accadendo in uno di questi stanzoni al piano terra…
Da qualche tempo attorno al marchio Spark
si sono accese discussioni d'ogni tipo. Il successo, si sa, genera invidie e
tentativi d'emulazione. Dietro questa firma orientale si cela il figlio di
André Ripert, un nome sconosciuto ai più. E' da lui che comincia il racconto di
una bella storia, una narrazione che svela l'inizio di una genesi
modellistica ancora lontana da avere una
fine.
1977, il mondo dell'1/43 inizia a
ribollire. Sono gli anni in cui i collezionisti vedono arrivare sul mercato i
primi veri modelli speciali, gli inglesi Paddy Stanley, Mike Richardson,
Brian Harvey hanno già iniziato il cammino, in Francia Jacques Simonet ed in
Italia i fratelli Petrucci ed anche Marco Bossi, Carlo Brianza, Paolo ed Angelo
Tron stanno proponendo kit, il settore dei diecast non è in grado di
accontentare i famelici appetiti degli appassionati, l'attualità latita,
Solido, la casa più seguita, sforna novità con il contagocce e quindi il
mercato è in fermento. Chi ha iniziativa, può buttarsi nella mischia, tutto è
in divenire, le idee possono prendere forma, i negozi specializzati crescono
come funghi in autunno, le borse scambio iniziano ad affollarsi e le
contrattazioni diventano frenetiche.
In quest'ambito, risalendo alla data
d'inizio, nasce a Marsiglia quella che negli anni sarà una delle pietre miliari
del settore, grazie ad uno dei fondatori che diventerà in breve pioniere di un
certo modo d'intendere la produzione di modelli in scala.
André Ripert fotografato in occasione della premiazione di Minis Auto, il 17 febbraio 1986 alla terrazza Martini. Siamo già in piena stagione Record.
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La sigla MRF è un acronimo: sta per Mini Roues Fils. Scopo iniziale della dinamica firma provenzale era infatti la produzione di meravigliose ruote a raggi, ottenute grazie ad un paziente intreccio di fili metallici d'incredibile finezza. Se infatti guardiamo a quegli anni, nessun produttore tra i tanti scesi sul mercato poteva realizzare cerchi a raggi soddisfacenti, tutti optavano per cerchi in metallo bianco che, se da un lato accontentavano una cerchia di appassionati, dall'altro deludevano i più esigenti. La scoperta di questo accessorio rivoluzionò ben presto il settore. La qualità all'epoca non era eccellente, spesso le linee dei modelli era approssimativa, i dettagli essenziali ma, calzando scarpe MRF, l'occhio cadeva su questi cerchi, perdonando errori ed asimmetrie. Quante volte abbiamo sentito affermare: "E' un kit John Day ma guarda come è cambiato. con quelle ruotine MRF". Il modello aumentava subito di valore, come se una contadinella scendesse in città calzando scarpe di lusso!
Le
famose scatoline cilindriche in plastica trasparente, che contenevano i modelli MRF.
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Dietro questo marchio si celava, oltre Ripert, anche Calligaro, un collezionista conosciuto. I debutti furono incoraggianti, la domanda superava di gran lunga l'offerta, anche perché le ruote a raggi erano realizzate a mano e richiedevano tempo e mani esperte ed allenate per un perfetto allineamento. In Italia costavano 3500 lire, molto più di un set tradizionale ma al collezionista non importava, la spesa era giustificata dal prodotto esclusivo. La sede era in Rue Pastoret, come tutte le realtà di quegli anni constava in un piccolo laboratorio e nulla più.
Ben presto alla produzione di cerchi speciali si affiancò ciò che Calligaro e Ripert volevano fin dagli inizi, la realizzazione di kit di altissima qualità, da contrapporre alla concorrenza più agguerrita. Insomma, si voleva portare MRF al top di gamma, senza alcuna concessione. Per i prototipi ci si affidò a Gauthier, un artigiano abilissimo nella creazione di master. Per ottenere il massimo della finezza, si fece ricorso alla resina per le carrozzerie, un materiale che permetteva stampaggi eccellenti. C'era purtroppo un rovescio della medaglia. Il poliestere usato era infatti fragilissimo, andava maneggiato con estrema cura, alcuni dettagli, primi fra tutti i montanti delle carrozzerie, potevano spezzarsi con grande facilità. Per regalare peso al modello-erano molti allora i collezionisti che odiavano la leggerezza della resina-i pianali erano in metallo bianco di un certo spessore.
La produzione MRF inizialmente si focalizzò sui montati di grande qualità, in tiratura limitata a 500 esemplari. Il loro assemblaggio era impeccabile, il livello della verniciatura eccezionale, ma la reperibilità fu sempre problematica, grazie ad un successo immediato. Si potevano trovare alla borsa scambio di Marsiglia, andando direttamente in Rue Pastoret oppure contattando l'Equipe Tron che fu la prima a diffondere il marchio francese nel nostro mercato. All'epoca-siamo nel 1978-un MRF montato costava 45.000 lire, un po' meno di un AMR ma molto di più rispetto un nostrano ABC, ad esempio. La qualità già allora come adesso, si pagava.
Estremamente rara fu l'ultima Ferrari della serie, la berlinetta SWB a passo corto e finestrino angolare. Sempre per la tematica Porsche, uscirono la 911 SC in veste coupé e Targa ed una 911 SC gr.3, priva di decalcomanie. Il canto del cigno fu rappresentato dalla Porsche 935 Moby Dick nella configurazione test al Paul Ricard 1977.
I lettori più avanti negli anni ricorderanno l'originale confezione che conteneva il kit: un cilindro in plastica trasparente, su cui spesso si focalizzavano le attenzioni dei collezionisti quando riuscivano a trovarne uno in negozio. Il loro prezzo era competitivo, 18.000 lire in linea con prodotti molto più scadenti. Il montaggio, superata la fase delicata della manipolazione della resina, era facilitato da un accoppiamento dei particolari molto preciso. Se sui modelli in metallo la preparazione richiedeva tempo e fatica, con la resina poliestere bastavano spesso qualche colpo di lima e poco stucco per arrivare alla fase della verniciatura.
L'acetato termoformato entrava nella carrozzeria senza problemi e la finezza dei dettagli era sconosciuta a gran parte della concorrenza. Per le decalcomanie, ci si affidò inizialmente a Cartograf per la Ferrari 250 GT Tour de France e la Porsche Turbo ma la collaborazione ebbe vita brevissima.
Un kit
della Porsche 930 fotografato oggi, ancora perfettamente integro. Per
rinforzare alcuni pezzi particolarmente critici, come gli specchietti, venivano
inserite delle “anime” di metallo.
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I cerchi, quando non erano a raggi, sfruttavano torniture in alluminio, sulla Porsche si utilizzarono per la prima volta tergicristallo in rame mentre la Mercedes 300 SLR disponeva di aerofreno posteriore mobile. Per quegli anni, erano lussi che facevano davvero la differenza.Sul finire degli anni settanta iniziavano ad affacciarsi sul mercato i primi transkit, a volte semplici ma spesso laboriosi, costringevano infatti il modellista a faticosi adattamenti alle basi industriali, quasi sempre firmate Solido. Per facilitare questo lavoro, MRF produsse una serie di scocche, sempre in resina, studiate per adattarsi alla produzione Tron e Mini Racing. In ordine cronologico, uscirono l'Alpine A442, le Ford Escort MK Gr.1 e Gr.4, la Citroen Maserati in versione Milord, la BMW 2002 Gr.2, la Lancia Stratos Gr.4, la Renault R5 Gr.2, l'Alfetta GTV Gr.4, l'Alpine A110 la Porsche 928S. In media, questi variokit costavano un terzo rispetto il kit tradizionale.
In
queste tre immagini un raro factory built appartenuto nel passato a Ugo Fadini.
Si noti il numero di serie inciso sul fondino di metallo.
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Di pari passo, le ruote a raggi continuavano ad infiammare i desideri dei collezionisti, la concorrenza era infatti quasi inesistente. Le prime Ferrari 250 GTO firmate da André Marie Ruf calzavano questi accessori, celebri le liti tra André e Ripert cui l'artigiano di Vélizy imputava tempi di consegna biblici che rallentavano la commercializzazione del kit.
MRF non ebbe vita molto lunga, infatti già nel 1979 Calligaro e Ripert fondarono la Record, altra firma celebre nel panorama di quegli anni mentre alcuni prototipi saranno ripresi poi da Provence Moulage.
La
stessa Talbot-Lago insieme a due Bugatti di John Day, anch’esse montate alla
fine degli anni settanta.
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Se sarete lettori attenti ma soprattutto fedeli, vi racconteremo un poco alla volta la storia di Spark, passando attraverso le tappe MRF-Record-Starter, cercando di spiegarvi l'evoluzione che ha caratterizzato la famiglia Ripert nel corso di 35 anni.
Di padre in figlio l'amore per l'1/43 si è sviluppato secondo un'evoluzione costante ed attenta alle esigenze dei collezionisti. Una vita spesa tra passione e macchinine, il sogno di qualsiasi collezionista che si rispetti.
29 dicembre 2012
Rassegna stampa: Four Small Wheels 10/2012
Ultimo numero dell'anno per la rivista di Grand Prix Models, che per l'occasione presenta 4 pagine in più. Le editor's choices comprendono la Maserati 300 S di CMC in scala 1:18, le Lotus 49 di Model Factory Hiro in 1:43 (prima o poi i kit in 1:43 di questo costruttore meriteranno una trattazione a parte), le Red Bull RB8 di Tameo in kit e l'autobiografia di Alan Mann, scritta insieme a Tony Dron. Questa è un'uscita che va a completare un trio di libri usciti di recente, che non dovrebbe mancare nelle biblioteche degli appassionati di vetture turismo da competizione; imperdibili, oltre al volume di Alan Mann, anche TWR and Jaguar's XJS di Allan Scott e Alfa Romeo 155-156-147 di Peter Collins, recensito anch'esso in questo numero di FSW. Ne riparleremo.
Proprio la rubrica delle recensioni librarie è particolarmente ricca e comprende altri titoli di grande fascino, come il volume 12 della serie di Joe Honda, "F.1 in Japan 1976" e la storia della celeberrima Morgan "TOK258" vincitrice di classe a Le Mans nel 1962: si tratta di un'edizione arricchita della prima versione che venne stampata nel 2005. Oggi, in occasione del 50° anniversario di quella gara, il libro viene ripubblicato con testimonianze inedite e diversi documenti aggiuntivi.
L'articolo storico, di David Blumlein, è stavolta dedicato alla Crosley Hot Shot a Le Mans.
27 dicembre 2012
La storia di Francis Bensignor [parte 7]
Ecco la settima parte della storia di Francis Bensignor, l'ultima che leggerete quest'anno. L'occasione è quella giusta per augurare a Francis un 2013 di serenità e di pace.
Jean-Pierre (Viranet-Tenariv) intègre donc l’équipe en
1977. Il apporte avec lui sa passion
pour les F1 et F2, c’est parfait, AMR
voulait élargir sa gamme. Jean-Pierre s’est forgé une réputation, très méritée,
en réalisant avec beaucoup de réussite des monoplaces surprenantes au
1/43ème en…carton !
Ce qui lui vaudra pendant un bon moment le joli surnom de
"Monsieur Toutencarton".Mais, son talent est bien plus vaste, comme le prouve sa première maquette au sein de l’équipe. C'est la Corvette Greenwood Spirit of Atlanta 1976. Réalisée, il me semble, conjointement avec le Boss, elle est magnifiquement réussie, et sa commercialisation, je crois, devance dans le temps celle de la seconde Greenwood, la Spirit of Le Mans 1976, 100% AMR qui a du sortir vers la fin de 1977.
C’est donc en juillet, bien avant que ne soit proposé le modèle tout monté AMR que je pars à nouveau dans un petit délire, que ma position privilégiée de l’époque me permettait. Sur la base de la Corvette Atlanta, mon idée était de jouer sur un jeu de mots basé sur le nom de Greenwood lui-même… pas très compliqué, mais après avoir décapité la belle, et lui avoir appliqué cette déco à l’esprit très écolo, le résultat n’était pas vilain du tout !
Je suis très heureux de savoir que ce modèle est à présent la propriété de la famille Ruf !
Si la fin d'année 1977 voit AMR emménager dans un véritable nouvel atelier, à Vélizy, pour moi, c’est à le moment aussi d'effectuer un petit voyage à destination des environs de Vichy, dans le centre de la France, à l’usine Ligier, pour y prendre photos et dimensionss de la JS2 1974/75. Le modèle commandé à AMR par un passionné ,sortira sous la marque VOITURE. Reproduire cette voiture était vraiment un défi à relever pour moi, tant ses formes ne sont pas simples. Je considère que c’est à partir de ce modèle que j’ai réellement commencé à penser que je pouvais sculpter des voitures dans la cire !…et à ce jour, ne retrouvant aucun dessin personnel qui aurait pu me guider dans ce travail, je me demande bien comment je suis parvenu à m’en sortir ! Les 2 photos qui suivent, montrent ce modèle, incroyablement monté et amélioré par un très talentueux collectionneur-maquettiste Français dont j’ignore encore l’identité,qu’il me pardonne, et que je tiens à féliciter et remercier pour son travail.
C’est en suivant l’exemple de Jean-Pierre Viranet que j’ai pris pour (bonne) habitude de réaliser un dessin comportant au minimum 2 vues, une de profil et l’autre de dessus, avant de commencer la sculpture d’une maquette complète. Ce sera chose faite avec mon prochain bébé, la BMW 320 WURTH HAT TEAM GR5 de 1978. Sortie en 1978 chez Minichamps, ce n’est pas une de mes plus belles réussites, les formes taillées à la serpe ne m’ayant jamais particulièrement inspiré ! Elle peut, à mon avis, vraiment susciter des critiques justifiées… à ce propos, je remercçie Umberto qui il y a 2 ans,défendait ma version du spoiler sur un forum ! : "Due viste che mi pare confermino la bontà d'interpretazione di Bensignor". Merci aussi pour les photos Umberto ! …
Je terminais 1978 en beauté, cette fois avec la Chevrolet Monza Imsa de 1978. AMR avait reçu les plans des Etats-Unis, et de ces plans, je refaisais des dessins au 1/43ème, raisonnablement je ne pouvais pas me louper ! J'étais totalement dopé à l'idée de reproduire ce modèle !
Cette Chevrolet Monza reste l’un de mes plus beaux souvenirs de maquettiste.
Crédit photo Umberto.
Un an et demi plus tôt, aux 24 heures du Mans 1976, j’avais été très marqué à la vue des quelques Américaines qui avaient traversé l’Atlantique. Le grondement assourdissant de leurs V8 qui semblaient tourner au ralenti m’avait ensorcelé et ma collection personnelle s’enrichissait de plus en plus de modèles US.
26 dicembre 2012
Varie sparse
Era Paolo Tron ad avere inventato le "varie vaghe" sui suoi ormai leggendari TSSK. Varie sparse è una variante che mi è venuta in mente, così. Poi dice che non siamo stati influenzati da quelle letture. Io il TSSK me lo imparavo a memoria, sarei capace di recitare interi brani dell'idiotoriale così come Benigni recita la Divina commedia. Vabbè.
Un mio amico - certamente in buona fede - mi domanda a volte: "ma perché scrivi certi commenti, perché a volte insisti su certe cose...". E' una persona riservata e non lo direbbe mai, ma riassumendo penso mi voglia dire: "perché parli quando potresti tacere?" Riassumendo ancora di più: "ma perché non provi a farti gli affari tuoi?" Potrebbe essere una buona idea, ma prima dovrei chiudere il blog, che notoriamente è nato per rispecchiare le mie opinioni, che non è detto siano migliori o più giuste di quelle degli altri. Poi il blog si è sviluppato, è arrivato ad avere contenuti storici, giornalistici forse anche di buon livello (mi dicono), anche e forse soprattutto per merito di qualche volenteroso collaboratore. Ma lo spirito che lo anima è smaccatamente di parte, evviva. Anche se, sia detto fra parentesi, nessuno - e dico nessuno - dei contributi esterni è mai stato minimamente modificato dal sottoscritto tranne nei casi in cui contenesse evidenti refusi di battitura (chiamiamoli così, toh... Per giustizia, mi si lasci dire che Umberto ne è totalmente esente, ci mancherebbe). I cosiddetti commenti-con-i-quali-non-mi-faccio-gli-affari-miei disturbano. Eccome, se disturbano. Ne ho avuta una prova tangibile ieri sera, segno che certe cose hanno colto nel segno. E, da (buon) giornalista, interpreto questi segnali come una lusinga. Non mi piace la polemica sterile ma ho abbastanza esperienza ormai da capire come e quando il dito abbia raggiunto la sua brava piaghetta e me ne rallegro. Non sarò mai un buon pr né un buon commerciante, né tantomeno un buon gestore di qualche forum molto orientato. Lei ha molte qualità. Però rompe i coglioni. Ne sono felice, e spero che da questo nasca una nuova forma di intesa, più che una divisione. Perché nella comunicazione ci ho sempre creduto e continuo a crederci. Tornando al mio amico che mi chiede il motivo per il quale non mi faccio gli affari miei (insomma, perché non me ne sto più tranquillo), lui sostanzialmente avrebbe anche ragione. Ma poi di cosa parleremmo? Diventerebbe tutto un esercizio retorico di elencazione, senza un vaglio critico, senza il tentativo (almeno quello) di trovare un collegamento fra fenomeni apparentemente slegati fra di loro, senza insomma la volontà di interpretare la realtà, di darle una dignità. Nietzsche diceva che i fatti sono stupidi. Non lasciamo che lo restino. Buon Santo Stefano.
23 dicembre 2012
Da oggi on line il nuovo sito di Cartima
E' operativo da oggi il nuovo sito di Cartima, rinnovato nella grafica, più moderno e più ricco di funzionalità. I contenuti del vecchio sito non sono stati ancora del tutto trasferiti nel nuovo, ma a giorni l'operazione sarà completata. Fra le iniziative che Cartima ha studiato per il 2013, vi è una tessera che permette l'accesso a sconti e ad altre facilitazioni. Ogni acquisto dal sito, inoltre, permetterà di usufruire di uno sconto del 9,11% (evidente il richamo alla mitica Porsche...) fino al 31 gennaio 2013.
Messico e Nuvole. Porsche 356 Carrera Panamericana 1952 [di Umberto Cattani]
Arriba Carrera!
Testo e foto Umberto Cattani
WIP Brumm Porsche 356 1/43
Esaurito il capitolo storico, indispensabile per inserire i due modelli nel loro contesto agonistico, rivolgiamo l'attenzione alle riproduzioni in scala delle 356. La scelta è caduta su altrettanti modelli Brumm, un prodotto economico che ben si presta allo spirito dell'iniziativa. Come avete capito, questo spazio è dedicato alla passione più che alla qualità eccelsa, in parole povere, ci accontentiamo di lavorar di lima e stucco senza ricercare la perfezione, lontana anni luce dalle nostre mani. Le basi sono piuttosto datate, in commercio esiste altro, naturalmente, ma la filosofia di base andrebbe delusa, quindi largo alla nostra filiera e mano all'estro personale. Le stesse decalcomanie, pur se provenienti dagli Stati Uniti, sono frutto della tecnologia Cartograf, quindi il WIP può essere definito come lavoro in divenire, utilizzando il verbo di casa. Fatto in Italia, quindi, e scusate se sbandieriamo l'orgoglio nazionalista, ogni tanto è un lusso che dobbiamo permetterci.
Lo smontaggio è elementare, nulla a che vedere con le tonnellate di colla proprie degli orientali. C'è purtroppo il rovescio della medaglia, mentre sui prodotti cinesi lo stampaggio dello zama è quasi del tutto privo d'imperfezioni, le 356 Brumm soffrono di brutte giunture in corrispondenza delle chiusure dello stampo. Spazio quindi a lime ed olio di gomito per rifinire le carrozzerie. Indispensabile quindi il tuffo nel solvente e la successiva rifinitura con stucco e carta abrasiva.
Il lavoro è piuttosto
impegnativo ma nulla può impensierire il cipollatore accanito. Si suda e
s'impreca ma alla fine, la soddisfazione sarà impagabile. Le basi di partenza
sono private dei paraurti, dei gruppi ottici posteriori, dei cerchi e delle
griglie anteriori. Conviene rimpiazzare tergicristallo e griglia di coda con
elementi fotoincisi, il modello ne guadagnerà e l'occhio sarà ripagato dai
vostri sforzi.
Come già accennato, la scocca va ripulita
da ogni bava mentre il profilo sottoporta va eliminato completamente.
Considerando che vogliamo abbigliare le 356 con il vestitino della domenica,
via anche le maniglie stampate e spazio ad altre, fotoincise. Meglio fare i
ganassa, potendo contare su una bella scatola ricambi, naturalmente. Prima di
passare in sala dipinti, occorre stuccare in successione l'incisione del
tettuccio apribile sulla coupé, i fori di attacco dei paraurti, lo sportellino
di rabbocco sul parafango destro e le doppie griglie anteriori.
Con una fresa
sferica ricaverete sulle portiere lo
svasatura che consentiva l'inserimento agevole delle dita dietro alla maniglia.
I gruppi ottici anteriori, privati delle bave di stampaggio, saranno quelli
originali mentre in coda, spazio alle doppie gemme circolari sulla coupé ed ad
un paio di cristalli rettangolari sulla cabriolet. Quest'ultima vettura è stata
fotografata in veste aperta prima della gara ma scenderà in corsa montando la
capote in tela, accessorio che dipingerete in grigio opaco scuro. Nuove le frecce
direzionali anteriori, diverse come posizione sui due modelli. La
documentazione aiuta nella realizzazione fedele delle 356, grazie ad alcune
immagini molto preziose e rare, considerando che si tratta di fotocolor.
Facendo la messinpiega alle pulci, abbiamo
notato l'assenza tra le decals di un paio di scritte presenti sul parafango
anteriore della vettura di Chavez ed anche in coda.. Pazienza, non si trovano
da nessuna parte ma potreste richiederle a Francesco Dall'Ora (Fides Grafica di
Verona) che stampa con buona qualità ed in tiratura minima.
Le plance posteriori che illuminano la targa, diverse tra loro, provengono dalla scatoletta magica. I terminali di scarico, doppi, sono ricavati da connettori elettrici, poi dipinti in gun metal. Gli interni, fedeli d'origine, ospitano ora una strumentazione arricchita grazie a decalcomanie, rivista la leva del cambio ottenuta con il classico spillo. La testa dello stesso è ingrossata con colla vinilica poi dipinta in nero satinato. Così otterrete un pomello più fedele e gratificante.
La pedaliera è sempre fotoincisa e costantemente nascosta, agli amici farete roteare gli occhi purché
riescano a scorgerla dopo mille acrobazie ottiche! La corona del volante va
dipinta in bianco lucido su entrambe. Identico il colore degli interni,
nero opaco poi spazzolato con un
pennello a setola dura per arrivare ad una finitura molto simile alla pelle dei
rivestimenti. Mancano i pannelli delle portiere, ricavati sagomando ad arte
rettangoli di plasticard. Sulla cabrio, ci sono solo le maniglie di chiusura
mentre la coupé monta anche le leve dell'alzacristalli. Saranno poi incollate
in corrispondenza della battuta interna della scocca. I cerchi vanno cambiati
con quelli alleggeriti tipici delle 356 da competizione, sulla cabrio saranno
dipinti nella stessa tonalità della carrozzeria.
Per i colori, un bel Fiat 456 blu notte abbiglierà la 356 di von Metternich mentre la sorella adotterà un azzurro metallizzato molto chiaro, tipico di alcune 356 dell'epoca. Vernice alla nitro su cui poi abbiamo steso una leggera mano di trasparente, sempre alla nitro, per ottenere una finitura in linea con quegli anni. Caramelle, non ne voglio più...Ricordate, la cantava Mina, che bei tempi.
Per i cerchi del coupé, invece, la tinta
sarà alluminio. I fari anteriori erano mascherati per proteggerli da sassi ed
insetti, tre bande incrociate di adesivo erano applicate sulla 356 blu mentre
l'altra aveva le calotte oscurate da una pellicola bianca opaca, solo una
sottile lama centrale consentiva il passaggio di un flebile raggio di luce.
Testo e foto Umberto Cattani
WIP Brumm Porsche 356 1/43
Dopo le Ferrari 512S e 458 Grand Am
edicolose, è ora il turno di un paio di modelli firmati Brumm, finiti nella
nostra officina in miniatura. Si tratta di due Porsche 356 che disputarono la
Carrera Panamericana, anche in questo caso l'elaborazione è umana, alla portata
di tutti, a patto di procurarsi in rete le indispensabili decalcomanie.
Le due 356 del WIP riproducono le vetture
guidate da Paul Alfons von Metternich, coadiuvato dal diplomatico brasiliano de
Teffé, alla Carrera Panamericana 1952 in veste cabriolet mentre la coupé scese
in gara l'anno successivo per mano di Salvador Lòpez Chàvez, facoltoso
industriale messicano proprietario della fabbrica più grande dell'America
latina, specializzata nella produzione di scarpe. Il principe von Metternich
concluse la gara all'ottavo posto assoluto mentre Chàvez fu costretto al ritiro
nel corso della sesta tappa, dopo una gara piuttosto modesta sempre nelle
retrovie di classe.
Esaurito il capitolo storico, indispensabile per inserire i due modelli nel loro contesto agonistico, rivolgiamo l'attenzione alle riproduzioni in scala delle 356. La scelta è caduta su altrettanti modelli Brumm, un prodotto economico che ben si presta allo spirito dell'iniziativa. Come avete capito, questo spazio è dedicato alla passione più che alla qualità eccelsa, in parole povere, ci accontentiamo di lavorar di lima e stucco senza ricercare la perfezione, lontana anni luce dalle nostre mani. Le basi sono piuttosto datate, in commercio esiste altro, naturalmente, ma la filosofia di base andrebbe delusa, quindi largo alla nostra filiera e mano all'estro personale. Le stesse decalcomanie, pur se provenienti dagli Stati Uniti, sono frutto della tecnologia Cartograf, quindi il WIP può essere definito come lavoro in divenire, utilizzando il verbo di casa. Fatto in Italia, quindi, e scusate se sbandieriamo l'orgoglio nazionalista, ogni tanto è un lusso che dobbiamo permetterci.
Lo smontaggio è elementare, nulla a che vedere con le tonnellate di colla proprie degli orientali. C'è purtroppo il rovescio della medaglia, mentre sui prodotti cinesi lo stampaggio dello zama è quasi del tutto privo d'imperfezioni, le 356 Brumm soffrono di brutte giunture in corrispondenza delle chiusure dello stampo. Spazio quindi a lime ed olio di gomito per rifinire le carrozzerie. Indispensabile quindi il tuffo nel solvente e la successiva rifinitura con stucco e carta abrasiva.
Il modello base della cabriolet proposto
da Brumm. Sulla carrozzeria si notano le preoccupanti bave di stampaggio, poi eliminate
in fase di rifinitura.
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Per la coupé, la scelta è caduta su
questa variante, ma sono adatte tutte le versioni prodotte dalla casa lombarda.
Un modello economico ma caratterizzato da buoni dettagli di base.
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Lo smontaggio è molto semplice e veloce.
Poche le componenti, il pianale è in metallo mentre i principali accessori sono
in plastica di discreta qualità.
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Pochissime le differenze tra la cabriolet
ed il coupé. Buona la riproduzione del tettuccio in tela, da dipingere in
grigio scuro opaco.
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Entrambe le carrozzerie sono state
private della vernice d'origine. Si notano le giunture di stampaggio, lo zama
appare comunque di buona qualità, senza grossi difetti di superficie.
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Gli interni sono da dipingere interamente
in nero opaco, poi spazzolato per ottenere l'effetto similpelle. Gli schienali
dei sedili sono ripiegabili, noi li abbiamo incollati per praticità.
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Prima mano di stucco per intervenire dove
necessario. In coda i gruppi ottici sono stati fresati, eliminate pure entrambe
le modanature del sottoporta.
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Dopo una mano di primer si correggono gli
errori restanti con altro stucco. Usiamo un prodotto reso più malleabile con
l'aggiunta di solvente alla nitro.
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Sui sedili sono montate le cinture di
sicurezza, obbligatorie in gara. Saranno corredate di fibbie fotoincise. La
capote è già dipinta nella colorazione corretta.
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Le due 356 hanno già la finitura
definitiva, tutta alla nitro, in ottemperanza alle caratteristiche storiche
dell'epoca.
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Vista posteriore delle carrozzerie
fresche di vernice. Il cofano della cabriolet va dipinto in bianco, dato che
sulla decalcomania non esiste sviluppo per riprodurre il dettaglio.
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I pannelli delle portiere sono ricavati
da plasticard. Sopra, quello semplificato della cabrio, sotto, quello del
coupé, provvisto di maniglia alzacristalli.
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Le plance posteriori che illuminano la targa, diverse tra loro, provengono dalla scatoletta magica. I terminali di scarico, doppi, sono ricavati da connettori elettrici, poi dipinti in gun metal. Gli interni, fedeli d'origine, ospitano ora una strumentazione arricchita grazie a decalcomanie, rivista la leva del cambio ottenuta con il classico spillo. La testa dello stesso è ingrossata con colla vinilica poi dipinta in nero satinato. Così otterrete un pomello più fedele e gratificante.
Un meccanico in tuta sembra accarezzare
la pelle a squame della 356 di Chavez. Un fotografo con apparecchio d'epoca
immortala il momento, i figurini sono realizzati da Omen ed Endurance.
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Serve una ventina di giorni per ricevere
le decalcomanie ma l'attesa è ampiamente ripagata. Eccellente la loro qualità,
Cartograf resta un punto di riferimento ineguagliabile.
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L' ambientazione è piuttosto semplice, un
nastro d'asfalto ottenuto con carta vetrata dipinta ad aerografo, un cartello
segnaletico e del pietrisco, secondo una fotografia d'epoca.
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Se questa 356 è fedele nella decorazione,
la sorella purtroppo non lo è, alcune scritte sono state colpevolmente
dimenticate. Per il colore della capote, abbiamo usato smalti opachi Humbrol.
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Pur essendo una vettura conosciuta grazie
ad una documentazione facilmente reperibile, la 356 cabrio di von Metternich è
stata a lungo dimenticata. Il cofano posteriore va dipinto in bianco lucido.
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Per i colori, un bel Fiat 456 blu notte abbiglierà la 356 di von Metternich mentre la sorella adotterà un azzurro metallizzato molto chiaro, tipico di alcune 356 dell'epoca. Vernice alla nitro su cui poi abbiamo steso una leggera mano di trasparente, sempre alla nitro, per ottenere una finitura in linea con quegli anni. Caramelle, non ne voglio più...Ricordate, la cantava Mina, che bei tempi.
Chàvez non era un pilota eccelso ma
poteva contare su cospicui mezzi finanziari. La sua macchina colpì il pubblico
più per la decorazione che per le doti velocistiche dell'equipaggio.
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Il lavoro di lima vi farà venire braccia
da culturista, per ripulire al meglio la carrozzeria armatevi di santa
pazienza, è il lato più pesante della vostra elaborazione.
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Le fotografie scattate con la luce
ambientale sono molto più calde e realistiche di quelle fatte in interno con il
flash, soprattutto se il modello è inserito in un'ambientazione specifica.
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In coda abbiamo inserito il doppio
terminale di scarico ricavato da connettori elettrici. La griglia, in origine
stampata in plastica, è stata rimpiazzata da un'altra fotoincisa.
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Siamo in inverno, le ombre sono lunghe,
le vostre 356 potrebbero essere state ritratte al tramonto nell'atmosfera
tipica della pianura messicana.
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Le decalcomanie, firmate Cartograf, sono
state realizzate per conto dell'America Scale Designs. Si trovano in rete ad un
prezzo molto contenuto e consentono di realizzare, oltre le due 356 della
nostra rassegna, anche la bella Porsche bianca e blu di Lippman, in gara nel
1953.
Non trattandosi di un modello inedito (prevista a breve nel catalogo True
Scale ma anche vista come Brumm e Leader) non è stata presa in considerazione
ma ciò non toglie che, se lo volete, potrete regalarvi un interessante trio di
modelli relativi ad una delle gare più belle e pericolose di tutti i tempi.
Della Carrera, ne sono state disputate solo cinque edizioni, tra il 1950 ed il
1954 ma sono state sufficienti a proiettare la gara messicana nella leggenda.
Motivi politici ed economici oltre la terribile tragedia vissuta a Le Mans, ne
decretarono nel 1955 la fine prematura. Chi l'ha vista, non la dimenticherà
mai. Evento deportivo automovilistico sin par!
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