21 settembre 2012

L'Honda City, il Motocompo e il prato blu

Facendo una piccola pausa al tavolino di vetro mi è tornata in mente una storia apparentemente senza troppa importanza di molti anni fa; di quelle storie, però, in grado di influenzare i gusti e certe scelte di un collezionista. Una storia come ne capitano tante a chi ha la tendenza compulsiva ad accumulare riproduzioni in scala di veicoli a motore (perfettamente inutili, ma questo è un altro paio di maniche). Negli anni ottanta, ai tempi delle medie, ero affascinato dalle utilitarie giapponesi, con quelle loro plastiche esotiche e gli attacchi rossi delle cinture di sicurezza con scritto "press". Per la verità "press" c'era scritto anche sulle Fiat, sulle Volvo o sulle Renault, ma quel "press" mi sembrava così giapponese, insieme alla sensazione scatolosa e plasticosa, quel "bleng" di quando un'insegnante del collegio svizzero ove ero stato recluso d'estate (poi ho continuato a scontare la pena agli arresti domiciliari) chiudeva la portiera della sua Toyota Celica rosso fegato. Cose, insomma, che non si dimenticano. Ad uno dei ragazzi della famiglia che ci affittava ogni estate la casa a Weggis, nei pressi del lago di Lucerna, una volta portammo un kit della Tamiya in scala 1:24 abbastanza inusuale, una Honda City con tanto di kit del Motocompo, una specie di micromotorino progettato per entrare giusto giusto nel bagagliaio della vettura.
Il trionfo degli anni ottanta: la macchina trendy col fighetto ancora più trendy (dal catalogo Tamiya 1985).

Questo kit non mancò di ridestare le mie passioni per le vetturette plasticose giapponesi, e quando aprimmo insieme la confezione, rimasti colpito da delle cose che mi parevano promettere un realismo impressionante: il suggerimento, ad esempio di dipingere il bordo dei finestrini posteriori laterali di nero opaco dall'interno, a simulare un vetro parzialmente oscurato, oppure il figurino del collegiale trendy al posto del pilota che accompagnava altre realizzazioni ben più evocative della Tamiya, dalla Zakspeed Capri Turbo alla Golf Gruppo 2 Kamei. Non durò molto l'Honda City in forma di kit: decidemmo di montarla, verniciandola - suggerì il proprietario - con una specie di vernice per legno a bomboletta. Visto che ogni essere umano dotato di un minimo di raziocinio si era rifiutato di ospitare al chiuso questo genere di operazione, optammo per una sessione open air, ossia sul praticello antistante la villetta, che dava proprio sul lago di Lucerna, in un'ambientazione così finta e idilliaca che sembrava appunto finta e idilliaca. Andammo un po' abbondanti con la vernice, appoggiando semplicemente la carrozzeria su un cartoncino da pizza, col risultato che sull'immacolato praticello restò per quasi un mese una stravagante chiazza celeste. Quanto al modello, a parte la finitura opaca, cui nessuno fece caso, non venne gran ché bene. Fu montato molto di fretta ed esposto nella stanza da letto accanto a vari Burago e Polistil più o meno della stessa scala.
Il piccolo Motocompo in scala 1:43 è un capolavoro, ma anche la macchina non scherza. Il tavolino di vetro apprezza e ringrazia.

Dell'Honda City forse non si occupò più nessuno - tranne la Diapet - fin quando la Ebbro non ha tirato fuori la stessa combinazione in scala 1:43, guarda caso anche in un colore azzurro abbastanza simile a quello che avremmo voluto ottenere in quel lontano pomeriggio dell'estate del 1985. Il kit Tamiya riproduceva la turbo mentre l'Ebbro è la versione aspirata, ma che importa. Il tavolino di vetro ha colpito ancora (per fortuna non in testa. O magari sì?).

3 commenti:

  1. Di solito i tavolini di vetro sono i nemici giurati degli stinchi...
    Alf

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    1. Il mio è alto abbastanza per troncarti simpaticamente un ginocchio...

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  2. Mi chiedevo se esistesse qualche italiano disposto a comperare la Honda della Ebbro col motocompo. Che domanda stupida...

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