14 aprile 2012

"Perché mi riempio di modelli?"

(di Andrea Rossignoli)

Una cosa che sono solito fare è quella di domandarmi sempre il motivo di quello che faccio, specialmente per evitare di cadere in una sterile routine. Non è quindi la prima volta che tale domanda risuona nella mia testa ma stavolta ho deciso di fare un passo ulteriore interessandomi in maniera forse più scientifica all’argomento ed ho scoperto parecchi lati interessanti che tuttavia non condivido completamente. Sostanzialmente ciò che sostengono gli psicologi è che l’uomo deve prima di tutto costruire certezze nella sua vita e quindi avere un riscontro materiale del suo lavorare ma anche trovare un ordine nelle cose, un minimo comun denominatore in grado di riassumere ciò che provoca piacere in lui. Infine, ma questo credo ci riguardi di meno, ognuno è alla ricerca di qualcosa che gli dia continuità, che testimoni il suo passaggio quando non ci sarà più.

Bene. Questo è quello che dicono loro; io la penso diversamente. O meglio, non posso negare che qualche richiamo ci possa essere, ma personalmente ho bisogno di sperimentare in continuazione qualcosa che provochi piacere, o per lo meno un’emozione: di conseguenza voglio circondarmi di oggetti che mi identifichino. Naturalmente il modello è uno dei primi e la cosa che più mi colpisce è ciò che c’è dietro ogni singolo pezzo, quelle componenti che solo per me ha: la situazione in cui l’ho comprato, il luogo, cosa mi ha colpito al tempo.. Il modello, tuttavia, non può essere solamente un simbolo od una riproduzione di qualcos’altro che non posso avere (l’auto reale) altrimenti cadrei nel ripiego e cioè qualcosa che non mi può soddisfare appieno. Al contrario il modello è qualcosa dotato di una propria indipendenza che lo fa esistere senza dover per forza collegarsi al modello 1/1. E’ per questo che si comprano modelli dei quali conosciamo i difetti o le inesattezze (gli obsoleti, per questioni di età, in primis) ma che comunque ci regalano un emozione che è viva, che cambia assieme a noi: se 20 anni fa un Minichamps rappresentava la massima espressione della fedeltà in quella fascia di prezzo, oggi risulterà necessariamente superato ma spesso si continua a tenerlo in rappresentanza dell’evoluzione delle tecniche. Cambia quindi come ci rapportiamo con l’oggetto collezionato, a volte potremo stufarci e vendere tutto per poi pentircene e tornare sui nostri passi.. quante volte è successo?

Detta in questi termini sembrerebbe un hobby da asociali, qualcosa da vivere tra le nostre quattro mura.. qui tuttavia sta il bello perché attraverso vari mezzi come il ritrovarsi alle borse, agli incontri o semplicemente in rete siamo in grado di comunicare queste emozioni personali agli altri a volte contagiandoli o creandone altre.

Il fenomeno dei modellini come creatori di certezze nella nostra vita? Piuttosto, nel loro piccolo, come uno strumento per farci stare meglio.

1 commento:

  1. Ho aspettato un po' ad aggiungere un commento, forse perchè c'è ben poco da aggiungere. Andrea, con l'invidiabile freschezza dei suoi vent'anni, individua molto bene una delle componenti fondamentali del nostro collezionismo: quello che, per usare una comoda etichetta, possiamo definire l'effetto "madeleine" (Proust pardonne...)
    Il che, poi, potrebbe valere per qualsiasi oggetto collezionato: tappi di bottiglie, libri, francobolli... C'è però l'aggiunta di altri due elementi: l'amore per l'automobile come oggetto e simbolo (di un mondo che va cambiando, di libertà di movimento, di bellezza estetica, di tecnologia ecc. ecc. ecc.) e l'amore per il gioco. In fondo siamo sempre lì: per l'incolto e in genere per le donne (mogli fidanzate o semplici tifose...) si tratta di "macchinine", giocattoli, pertinenze di eterni bambini. E allora?
    Ma voi, con le vostre, ci giocate ancora? Io sì, ogni tanto, e non mi vergogno affatto.

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