25 luglio 2021

Rassegna stampa: AutoModélisme n.276 (luglio 2021)

Questa uscita di luglio della nuova gestione di AutoModélisme si conferma sui mediocri livelli visti nei primi fascicoli. Se il numero 275 pur senza fare sfaceli aveva mostrato qualche segno di miglioramento, col 276 ritorniamo ai livelli degli esordi. Il problema è l'impostazione generale scelta, non facile da correggere: foto troppo grandi (e spesso anche scadenti), articoli piuttosto superficiali, generale povertà di idee. Pubblicare una rivista cartacea oggi è tutt'altro che facile, ma non te l'ha ordinato il medico. Se lo fai, devi cercare delle strade davvero alternative, altrimenti ti lasci travolgere dalla banalità e dalla bassa qualità che alla fine ti fanno chiudere. L'attuale AutoModélisme è una brutta copia del precedente, che non è che stesse andando a migliorare. Intendiamoci: ancora oggi alcuni pensano che il vecchio AM abbia chiuso per gli scarsi risultati editoriali. In realtà la crisi era estesa all'intero gruppo Hommell e AutoModélisme non aveva alcuna colpa particolare. Esso è rimasto travolto dalla fine di un'impresa già annunciata da anni. La rivista attuale non ha alcuna forza vitale: propone contenuti stanchi, scontati, battendo sempre sugli stessi chiodi senza riuscire ad elevarsi da un livello pedestre ed elementare. Nessun colpo d'ala, nessuna invenzione veramente interessante e originale. Le sette pagine di novità non sono né carne né pesce: perché scegliere un determinato Spark anziché un altro? Un Minichamps al posto di un Ixo? Diecast e speciali (peraltro sempre dei soliti due o tre marchi) danno una ben misera impressione davanti al flusso quasi quotidiano di novità. 



Poi abbiamo lo spazio lettori, un modo di riempire pagine a buon mercato facendo leva sulla vanità di qualche frustrato cui Facebook non basta più (accetto volentieri le eccezioni che Alfonso ha sollevato a chiosa di un simile commento fatto a proposito del numero precedente): stavolta si sfiora, anzi, si varca abbondantemente, il pessimo gusto con la foto di un diorama raffigurante l'incidente di Jochen Rindt a Monza nel 1970 e non mi venite a dire che è una maniera di celebrare un campione. Un campione si può celebrare in tanti altri modi meno truculenti. 

Continuiamo poi con le solite banalità su Steve McQueen e sulle sue auto, con la Mazda 787B di Le Mans 1991 riprodotta da cani e porci e con un affastellarsi da incubo di Abarth da edicola nella seconda parte consacrata al periodo 1961-1976. I soli modelli speciali sono recensiti a stento, scambiando oltretutto la dicitura "Firenze", che era presente sul fondino dei modelli di Valerio Barnini, per il nome del produttore. 



Si passa poi a un altrettanto caotico articolo sui veicoli da record. Altri pezzi tematici non è neanche il caso di passarli in rassegna. Chiudono la rivista la prima parte di uno sgangherato montaggio di una Lotus MFH in 1:12 (per presentare certi lavori bisognerebbe avere un'abilità tecnica che l'improvvisato "atelier" pubblicizzato nel pezzo non ha neanche lontanamente) e le due o tre paginette sulle slot. 

Ovviamente su Facebook c'è chi inneggia al costante miglioramento della rivista. Io sinceramente tale miglioramento fatico alquanto a discernerlo. 

4 commenti:

  1. Il diorama di Monza '70 è la classica cosa che mi fa venire istantaneamente la voglia di entrare a Varsavia con le divisioni Panzer, eppure, ed è un segno della profonda malattia del mondo in cui viviamo, è la classica cosa per la quale il 99% dei "collezionisti" stravede...
    Una prova su tutte? Quante Delta S4 numero 4 sono state vendute da HPI, Autoart, eccetera eccetera? Quante 126 C2 in configurazione Zolder? Quante FW 16/Imola?
    Una cifra spropositata, specie per le S4 (i cui cultori medi sono in buona parte di un livello talmente infimo da essere reperibili sotto al petrolio). Tutti simpatici oggettini sprizzanti morte che non vorrei neppure se mi regalassero, e che eppure vengono prodotti (e venduti) per primi rispetto a tante altre versioni meno macabre e più vincenti.
    Fine divagazione, spero di non aver offeso o tediato nessuno.
    R.F.

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    1. Sai, Riccardo, finché si tratta della Ferrari 126 C2 Zolder 82 (o della Williams di Imola 1994 ecc ecc) in configurazione pre-gara o pre-prove che dir si voglia, posso essere anche d'accordo. Ricordare il povero Bettega o Toivonen con l'ultima auto che hanno pilotato, può essere anche un modo di omaggiare una carriera arrivata alla fine. Ma mettere Rindt col collo rotto dentro una Lotus schiantata contro il rail, quello è un modo volgare e cretino di rievocare un fatto sportivo.

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  2. Non proprio David, perché qui viene il """bello""" vero: il povero Attilio, che è morto in un incidente di gara abbastanza normale per dinamiche ed effetti (tanto è vero che Michael Park è morto con una dinamica simile nel 2005 in piena era WRC con 50 metri di tubo nell'abitacolo) non se lo fila nessuno: quante 037 numero 4 col moro in scala hai ammirato negli ultimi anni? Una o neanche quella?
    Il popolino è proprio morbosamente attratto dall'incidente di Toivonen, perché è enormemente più cruento e splatter, e guardando (ma è meglio di no) sui social, ciò si capisce benissimo, e viene da piangere...
    Discorso brutto, lungo, e parecchio articolato, che per certi contenuti che (purtroppo) so non mi pare il caso di affrontare.
    R.F.

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    1. Non c'è dubbio che la "scenograficità" con cui Toivonen se n'è andato ha giocato un ruolo primario nell'immaginario collettivo degli appassionati. Così come quello di Villeneuve. In molti casi, poi, ha giocato anche l'amplificazione mediatica (vedi Senna ma anche Bandini). In ogni caso, che siano argomenti spinosi o no, il blog dal 2012 cerca di affrontarli con un minimo di obiettività, lontano dai tifosi ma anche lontano dai maestrini col ditino alzato.

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