22 novembre 2019

Le Mans '66, la grande sfida: due righe di commento

Ho sempre pensato che fare film sulle storie di sport sia molto complicato perché lo sport stesso propone storie così intense che non c'è bisogno di fiction per raccontarle. I film sull'automobilismo, sullo sport automobilistico, sono piuttosto comuni e sono tutti per lo più banali e noiosi, incluso il tanto osannato Le Mans con Steve McQueen.

Gli ultimi due, Rush e Le Mans '66 appena uscito, sono forse un'eccezione. Rush mi piacque, nella sua semplicità ma anche nella sua sostanziale unità. Le Mans '66 è qualcosa di più complesso. Ormai ne leggete a decine, di recensioni, e non c'è bisogno che mi metta ad analizzarlo in modo dettagliato. E' forse troppo presto. Posso però dire come il film non debba essere letto: non è un documento storico attendibile al cento per cento. Ho sentito appassionati (che in questi casi si trasformano in dei pedanti di prima categoria) criticare questo o quel particolare storico sulla Ferrari 330 P4, sulla Ford MkII o su chissà cos'altro. Se cercate questo tipo di cosa compratevi un libro con le foto o andate a cercare i filmati della Duke o dell'istituto INA. Non è questo un approccio corretto a un film che deve andare nelle sale cinematografiche di mezzo mondo, a gente che tra poco neanche sa cosa sia Le Mans, figuriamoci una Ferrari 330 P4 o una Ford GT40. Un film come questo deve trasmettere un messaggio. Molti film di tal genere falliscono perché appunto non hanno messaggi da passare. A mio parere la bellezza di questo film sta nell'essere riuscito a ricostruire una sfida, ma che paradossalmente non è forse tanto la sfida tra Ford e Ferrari, ma quella fra tecnici e piloti col mezzo meccanico. Nell'automobilismo il primo avversario è il limite della macchina. Ed è forse in questa chiave che va letto il film. E' una guerra col mezzo meccanico, una diuturna lotta con la vulnerabilità e la genialità delle trovate tecnologiche. L'amore per la guida e per la meccanica passa in filigrana tutta la pellicola che - sia detto per inciso - scorre più che bene nonostante le due ore e mezzo di proiezione. Contemporaneamente si dipana la storia principale, che non è tanto il duello fra Ford e Ferrari quanto la vicenda di un'amicizia fra due uomini straordinari, Carrol Shelby e il suo pilota Ken Miles. Per il pubblico dei non addetti, un'occasione per uscire dai soliti luoghi comuni alla Days of thunder o alla Michel Vaillant, tanto per fare un esempio; per gli esperti, l'opportunità di capire meglio il ruolo che certi personaggi hanno avuto sull'automobilismo americano degli ultimi cinquant'anni. Un'eredità che se entri in un circuito come Sebring, Laguna Seca o Road Atlanta, puoi respirare ancora oggi. E se un film ti dà l'occasione di parlarne, allora significa che ha raggiunto il suo scopo.

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