Nei giorni precedenti ci siamo già occupati di altre due novità Tecnomodel in scala 1:18, la De Tomaso Mangusta e l'Alfa Romeo Junior Zagato. Contemporaneamente a questi due modelli è uscita l'Aston Martin DB2 del 1952, disponibile in piccole serie di differenti colori, variamente combinati con diverse tonalità d'interni: argento metallizzato con interni rossi (100 esemplari), verde inglese con interni sabbia (100 esemplari), celeste metallizzato con interni celesti (75 esemplari) e verde chiaro metallizzato con interni verdi (75 esemplari). Si tratta anche in questo caso di un bel modello con tante finezze, incluse delle ruote a raggi di buona fattura con un gallettone più che dignitoso. Belli gli interni, con un cruscotto particolarmente ben riuscito. La finitura generale e la verniciatura sono veramente esenti da ogni critica. Tra le soluzioni abbastanza particolari, i rivestimenti dei paraurti in fotoincisione, a simulare, in modo piuttosto efficace, i listelli; fotoincisa anche la griglia del motore. Purtroppo questi modelli non riescono a liberarsi degli orrendi plotteraggi che riproducono montanti laterali e deflettori (vedi in particolare una delle foto della gallery in calce): dev'essere una problematica tecnica cui committenti e fabbriche cinesi non sono ancora riusciti a venire a capo, verosimilmente per una questione di costi.
Peccato, perché è l'unica stonatura che guasta non poco modelli di questa marca, ma anche di altri produttori, da OttOmobile a Laudoracing, tanto per citarne un altro paio. Speriamo che in un prossimo futuro si riesca a proporre una soluzione maggiormente in linea con tutti gli altri dettagli. Detto questo, si impone un'altra considerazione generale: ormai si può tranquillamente parlare di "scuola" del resincast cinese, visto che modelli di diversi fabbricanti presentano più o meno tutti le stesse soluzioni tecniche, lo stesso grado di finitura e non di rado anche le stesse tipologie di confezione.
Non è assolutamente un male, è un semplice fatto che indica come in realtà anche da quelle parti la produzione si sia via via "razionalizzata", escludendo magari certe fabbriche poco competitive, sia a livello economico, sia perché non rispondenti alle richieste tecniche e qualitative dei marchi committenti.
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