Risalgono infatti già agli anni settanta copie più o meno conformi di vecchi Dinky, prodotti in metallo bianco soprattutto da artigiani britannici.
Ma a quei tempi lo spirito era forse diverso: si volevano ricreare alcuni soggetti introvabili, che tuttavia non avevano ancora raggiunto le quotazioni di oggi. Non so quanto ci fosse allora, in quelle iniziative artigianali, ciò che oggi si definisce un' "operazione nostalgia". Si trattava forse di qualcosa di meno raffinato, commercialmente parlando, di meno intenzionale. Non si voleva ricreare, ma semplicemente offrire qualcosa che in commercio non si trovava più. Poi con la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, si è assistito a delle vere e proprie riedizioni: dagli Sport Cars, Verem e compagnia bella che hanno ripreso a più non posso la vecchia produzione Solido, ai Metosul, diventati a loro volta rari e ricercati dai collezionisti dei nostri giorni.
Qualcuno, come Corgi, ha giocato la carta delle edizioni limitate e/o commemorative (ricordiamo la Ford Consul riedita nell'anno dell'anniversario della casa inglese), altri hanno ripercorso le strade dei vecchi artigiani inglesi proponendo anche modelli non strettamente derivati da quelli d'origine ma semplicemente ispirati ad essi. Altri ancora, come Minialuxe, hanno saputo e potuto creare delle operazioni di marketing senza dubbio accattivanti, sui cui risultati però ci sarebbe da interrogarsi; altri, infine, hanno provato, ma poi hanno dovuto gettare la spugna.
Operazione non troppo fortunata, quella di Norev di far rivivere il marchio CIJ. Rigorosamente made in China. |
Oggi il mercato del new vintage è vario e sfaccettato. L'uscita degli Atlas e l'espansione dei Dan Toys, che hanno iniziato a pescare anche nel mare magno della produzione Dinky inglese, con i primi Guy, confermano che un pubblico di appassionati esiste, e che non si tratta solo di collezionisti di poche pretese, interessati al massimo a mettere un soprammobile sulla credenza, tra la gondola veneziana e la campanina d'argento. Si tratta di collezionisti che comprendono la differenza di valore tra un pezzo originale e la sua copia, ma non disdegnano di mettere l'uno accanto all'altra, anche solo per spirito classificatorio o di completezza storica.
Con le copie si può "giocare", ci si può divertire senza troppi patemi, mentre sfido chiunque a maneggiare con noncuranza un pezzo da 400 o da 500 euro. Col new vintage si è forse recuperato un gusto per una certa essenzialità, andato perduto con le recenti produzioni, sempre più farcite di dettagli, di fotoincisioni, di pezzetti minuscoli che a volte creano solo accumulo di sensazioni senza regalare la visione generale di un modello. Il suo equilibrio, come si suol dire.
La varietà dell'offerta rende addirittura la definizione "new vintage" insufficiente, o quantomeno incompleta. Ma è comunque una tendenza da non sottovalutare, in un contesto in cui certe produzioni più tradizionali sembrano soffrire inesorabilmente di una mancanza di risposta da parte degli acquirenti. Il rischio di invadere il mercato con produzioni inutili o sovrabbondanti c'è; dall'altra parte, almeno finora, non si è assistito a un abbassamento delle quotazioni dei pezzi originali, perché in questo caso è ben evidente la distinzione fra nuova e vecchia produzione. Quando il flusso incontrollato degli Sport Cars, dei Verem e dei Solido ristampati si affacciò sul panorama degli anni ottanta, le quotazioni della Serie 100 calarono bruscamente perché: 1° non era passato abbastanza tempo dall'uscita dei modelli originali; 2° i collezionisti non percepirono sostanziali differenze fra i modelli d'epoca e quelli nuovi. Inoltre, molti ricercavano i vecchi Solido soprattutto per elaborarli e trasformarli, e l'arrivo delle ristampe fu sostanzialmente un'occasione per pagare molto meno dei modelli che sarebbero comunque stati destinati allo smontaggio e alla riverniciatura.
Rio, Alfa Romeo 6C 1750, produzione anni settanta. |
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