22 luglio 2018

Divagazione sul tema: chi è il collezionista?

Dei molti libri dedicati al collezionismo, veramente pochissimi tracciano un ritratto psicologico del collezionista, e direi nessun si occupa del nostro settore. Ciononostante, qualche volume che - magari di sfuggita - affronta l'argomelore nto prendendo in esame altre nicchie esiste: un paio di mesi fa ho avuto occasione di ritrovare in libreria una specie di classico per chi si occupa di arte contemporanea, "Il sistema dell'arte contemporanea", scritto da Francesco Poli. Uscito presso Laterza nel 1999, questo testo ha riscosso notevole fortuna, con una seconda edizione aggiornata nel 2007 e una terza edizione con nuova prefazione nel 2011. Attualmente è disponibile nella collana laterziana "Universale" (€ 14,00), ed è una lettura che mi sentirei di consigliare a prescindere. Il libro delinea il panorama legato al mercato dell'arte, alla domanda e all'offerta, e un capitolo è quasi inevitabilmente dedicato al collezionista.

 Si tratta per la verità, in un libro molto completo ed esauriente, di una disamina piuttosto lacunosa, perché forse non tiene conto che gran parte degli aspetti psicologici sono comuni a chi colleziona tappini e a chi spende milioni di euro per accaparrarsi un'opera di Damien Hirst. Insomma, i moventi del collezionismo non necessariamente si possono dividere in due grandi categorie, come suggerisce l'autore: tra gli "oggetti che di per sé non hanno particolare valore culturale o venale" e la seconda categoria di oggetti, quantificata dal "valore ed economico". Lo slittamento da una categoria all'altra è molto comune e porta anche a infinite sfumature, per cui direi che questa prima distinzione è quantomeno parziale e un po' opinabile. Nel capitolo non troviamo molte delle più classiche (e sempre valide?) motivazioni addotte per spiegare il fenomeno collezionistico, come la necessità di riempire vuoti e roba varia. Non tutti i collezionisti affastellano roba per compensare mancanze di qualunque genere.

Il capitolo quindi non fa abbastanza luce sull'aspetto psicologico-psicanalitico, concentrandosi piuttosto sui comportamenti legati al mercato dell'arte. Qua e là, tuttavia, emergono alcuni punti fermi dello studio del fenomeno collezionistico, a cominciare dalle note, ormai storiche, di Jean Baudrillard che già alla fine degli anni sessanta, quando il collezionismo tendeva a essere separato dalle logiche legate al mercato e alla creazione degli oggetti (forse perché ritenuto un elemento "spurio" o addirittura "impuro"?) notava come l'accumulazione seriale di oggetti identici possa assurgere a un livello culturalmente significativo quando questi oggetti sono forniti di "progetti": ovvero quando dietro all'acquisto esista una linea guida o un interesse legato alla loro storia, alla loro funzione e alla loro natura.


Peraltro, qualche anno prima Mario Praz (egli stesso collezionista incallito) sosteneva che "sottoposta alla psicoanalisi, la figura del collezionista non ne esce bene, e dal punto di vista etico è certamente in lui qualcosa di profondamente egoistico e limitato, di gretto addirittura". Quasi una sintesi quella di Bruno Toscano: "Remote tendenze ritualistiche, curiosità, erudizione, devozione, prestigio e desiderio di innalzarsi, gusto della scoperta e della previsione dei valori, calcolo speculativo: tutti insieme o soltanto alcuni di questi moventi si associano tra loro e con l'interesse artistico, dando luogo ad una quantità di combinazioni e varianti cui corrisponde puntualmente l'eterogeneità del materiale umano, la ricca gamma delle psicologie e degli umori".

Qui siamo più sulla descrizione di un fenomeno che sulla determinazione delle sue cause più remote, ma me la sento di condividere le parole dell'autore quando afferma che a volte si può parlare di un'attrazione quasi patologica per il collezionare, in quanto attività soddisfacente per se stessa. "Per molti - scrive Francesco Poli - la propria collezione diventa una realtà totalizzante, in cui proiettare interamente la propria identità, come fosse una sorta di organismo dotato di vita autonoma: costoro non sono tanto dei possessori quanto dei posseduti". Qui ci avviciniamo di qualche grado alla ricerca dei veri moventi dell'accumulo seriale. Non sarei d'accordo su una seconda distinzione proposta dal capitolo, che separa i collezionisti emozionali da quelli in grado di ragionare con logiche più propriamente economiche. C'è l'uno e l'altro in un solo collezionista, anche se con varie sfumature secondo la competenza, la capacità d'acquisto e naturalmente la personalità. Ciò che non di rado accomuna collezionisti d'arte e altri collezionisti è l'interesse monotematico, che spesso sfocia in comportamenti ossessivi e maniacali. Per l'arte si può pensare a un Giuseppe Verzocchi, il celebre industriale del mattone che aveva messo su una collezione notevole di quadri, tutti caratterizzati dalla presenza del mattone refrattario con tanto di logo "V&D", che era quello della sua azienda, la Verzocchi & de Romano.


Altri collezionisti d'arte raccolgono solo opere che rappresentano esclusivamente fiori, animali, nature morte, determinate città, personaggi, arti, mestieri e così via. Non diversamente alcuni dei "nostri" collezionisti raccolgono solo modelli di un determinato costruttore (e fin qui siamo ancora in una certa normalità), mentre altri si confinano nell'accumulo seriale di autovetture di un solo pilota, di una sola gara, fino ad arrivare a fissazioni come quelle legate a un determinato sponsor, e qui è già più difficile stargli dietro, visto che poi si trovano a infilare in collezione modelli che con quello sponsor non hanno niente a che vedere, salvo un adesivino minuscolo attaccato alla carrozzeria chissà per quale motivo. Ancora una volta l'argomento è stato solo sfiorato, non certo esaurito, anche se nel blog sono già apparsi post di questo tipo. Indubbiamente il tema è affascinante e si ripresenta ogni volta sotto vesti nuove. Certo è che un vaccino al collezionismo non è stato ancora trovato. Chissà perché.

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