24 gennaio 2016

1976-2016, speciali e diecast: if you want bread you go to a baker and for cakes you go to a patisserie

I temi fondamentali dell'attualità automodellistica sono noti: la collocazione degli speciali, il ruolo dei resincast, lo sviluppo dei diecast veri e propri. Lo sviluppo della produzione in tutte le sue varianti è stato formidabile in questi ultimi 15 anni, tanto da generare nicchie e tendenze inimmaginabili. Può essere interessante capire qual era la situazione esattamente quarant'anni fa, un'epoca in cui i produttori di "speciali" iniziavano a imporsi sul mercato e le marche mainstream di modelli industriali accusavano crisi di non poco conto che avrebbero portato a numerose defezioni tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta.
E' bene ricordare che allora il modello diecast nasceva essenzialmente come un giocattolo ma veniva collezionato anche adulti (spesso ovviamente modificato) per mancanza di reali alternative. Oggi la distinzione è si è collocata su un altro piano: con i loro alti e bassi esistono ancora i diecast per i bambini, mentre dall'avvento di Vitesse o altri marchi a partire dagli anni ottanta, si è formato tutto un filone di diecast pensati esclusivamente per i collezionisti (Minichamps, Ixo, Trofeu ecc. ecc.).
Torniamo quindi indietro di quarant'anni, con l'aiuto dell'archivio informatizzato di Motor Sport; lo spunto è stato abbastanza banale. Cercavo su Google il nome di un collezionista maltese con cui ero in corrispondenza alla fine degli anni ottanta, quando ho trovato una citazione nel sito web di Motor Sport, che permette però delle ricerche limitate. E' stato sufficiente tuttavia a far continuare la mia inchiesta, visto che per fortuna posseggo i CD-ROM ufficiali con le scansioni di tutti i numeri della rivista inglese.

Miniatures News

Negli anni settanta, Motor Sport pubblicava regolarmente un paio di rubriche molto seguite dagli appassionati, Cars in Books e Miniatures News. Come nella miglior tradizione britannica, molto testo e poche foto, ma oggi vi si trovano nascoste delle vere perle. Nel numero di dicembre 1975, si scriveva della penuria di modelli di F.1, rimarcando come i maggiori produttori di diecast ignorassero sistematicamente soggetti potenzialmente di grande fascino. La questione venne ripresa da un lettore, un certo G. Milgrom di Dor.Mills, Ontario (Canada), che nel numero di aprile 1976 pubblicò una foto della sua raccolta di modelli Tamiya in scala 1:12, alcuni dei quali modificati a partire dalla base standard. Fu l'occasione per Motor Sport di tornare con decisione sull'argomento, lamentando come in effetti marchi storici del calibro di Dinky e Corgi avessero quasi del tutto abbandonato i soggetti sportivi, a differenza di quanto erano soliti fare negli anni cinquanta e sessanta.

Motor Sport, aprile 1976, pag. 376, intervento di G.Milgrom con una foto dei suoi
modelli Tamiya in scala 1:12.
Il confronto prese ulteriormente piede nel numero di maggio, dove Motor Sport riportò il commento anonimo di un piccolo produttore diecast, che rimarcava come i costi degli stampi fossero diventati eccessivi per investimenti troppo numerosi. Il costruttore ricordava che un nuovo stampo richiedesse non meno di 30000 sterline d'investimento. Una crisi nella quale si stavano inserendo bene gli artigiani, con numeri di tutto rispetto, che non di rado commercializzavano anche versioni montate dei loro modelli, a prezzi ovviamente molto alti rispetto a quelli dei diecast: un factory built di Grand Prix Models o di Auto Replicas poteva costare sulle 25 sterline, quasi dieci volte tanto rispetto a un Corgi o a un Dinky.
Una ERA Grand Prix factory built di Auto Replicas.

Uno che stava riuscendo a sfruttare appieno la situazione favorevole era Brian Harvey, che parallelamente al suo negozio Grand Prix Models di Radlett, aveva avviato una ricchissima serie di kit e di montati speciali in scala 1:43, e che in quei mesi stava lavorando a soggetti che i collezionisti aspettavano come la manna dal cielo, la Lotus XI o l'Aston Martin Project 215.

Pane o dolci...?

La questione sollevata non sfuggì ai lettori e nel numero di luglio vennero pubblicati due commenti di diverso tenore, ma entrambi sintomatici della situazione del periodo: uno di Bill Baxter, marketing manager della sezione diecast della Mettoy Co. Ltd. (in pratica la Corgi), e l'altro di un collezionista maltese, Joseph Xuereb (il nome da cui era iniziata la mia ricerca su Google). Abbastanza facile intuire gli argomenti di Baxter: esigenza di produrre modelli conosciuti al grande pubblico, e quindi non di nicchia anche per mantenere bassi i costi di produzione e vendita, richiesta da parte degli acquirenti di modelli con gadget, accessori, parti mobili, insomma dotati di quel "play value" di cui i produttori di speciali potevano ovviamente fare a meno. "It is toys that we produce - scriveva Baxter - toys for children". Semplice e chiaro. Penso sia molto utile riportare per intero la chiusa della lettera: "...although we are in the die-cast engineering business, we retain out deep-rooted interest in the art of model making and we welcome the current growth in specialist model-making activities. These smaller firms bring new life and vigour into the field. Working in much smaller volumes with very, very much lower overheads, they fill a very useful role in helping to provide a complete service to the serious model collector. But if you want bread you go to a baker and for cakes you go to a patisserie. The basic tecnique is the same, but the prices are totally different". Da parte sua Xuereb si lanciava in una serie di critiche abbastanza radicali ai modelli speciali: prezzi alti, scarsa qualità generale, difficoltà di montaggio ed eccessiva fragilità erano i punti su cui il collezionista di Malta basava la sua argomentazione secondo la quale era tutto sommato molto meglio continuare a raccogliere Rio, Solido, Schuco, Lesney Yesteryear e Corgi. Forse abbastanza ingenua la soluzione per ridurre i costi di produzione e permettere alle grandi case di toccare nicchie di specialisti: "can production costs be cut down through use of different materials and manufacturing methods, different presentation and more high pressure marketing, semi-kit presentations, more use of consumer requirement data?" Sta di fatto che di lì a poco marchi come Dinky e Corgi, già in crisi, avrebbero chiuso i battenti o sarebbero stati costretti a manovre ancora più drastiche per rimanere a galla. Se non altro la lettera di Xuereb servì a puntare il dito contro produzioni artigianali di qualità inaccettabile anche per quei tempi.

Un tipico Corgi anni settanta. La qualità non è più quella degli anni cinquanta-sessanta e
si cerca con sempre maggiore insistenza di puntare sulle ruote veloci, che piacciono ai bambini più
piccoli ma non certo ai collezionisti. Alcuni compromessi sono abbastanza felici, altri meno.
Per tre pinte di birra

Il commento di Xuereb suscitò diverse reazioni, soprattutto fra i produttori di modelli speciali. Esemplare la risposta di Barry Lester (Auto Replicas), pubblicata nel numero di agosto: l'acquisto dei modelli speciali e il loro successo - iniziava col dire Lester - non dipendeva solo ed esclusivamente dal fatto che Solido o Corgi non producevano un determinato tipo di modello - ma era piuttosto il segno della passione di molti collezionisti-modellisti (un binomio non raro fra gli appassionati) che avevano deciso di buon grado di abbandonare i vecchi kit in plastica, troppo ingombranti e con molte altre complicazioni, per dedicarsi a modelli più maneggevoli e confacenti alle loro esigenze. Quanto ai costi, Lester faceva notare come il prezzo del metallo bianco viaggiasse sulle 4000 sterline per tonnellata, contrariamente allo zamac e alla plastica, che si attestavano su alcune centinaia di sterline per tonnellata. Per quanto riguardava la qualità, Lester predisse giustamente una selezione per gli anni a venire, ricordando che i suo marchio era stato l'unico nel settore dei modelli speciali ad avere ottenuto l'ambito Diploma speciale dalla rivista Quattroruotine.


Lotus Super Seven, factory built di Auto Replicas, uno dei marchi di punta
dell'automodellismo britannico negli anni settanta.

Davvero altri tempi, verrebbe da dire.
Ficcante un secondo intervento, firmato Colin Nash, che riguardo ai prezzi "esorbitanti" degli speciali lamentati da Xuereb, con humor britannico ricordava come "as far as kits are concerned perhaps he [scil. Xuereb] should consider the price angle in a different light. Try to choose models that will give pleasure in research, building and painting as well as owning - models take several evenings to complete. Then think that the average pub-goer will consume three pints in an hour - say 75p. So if the kit keeps you out of the local for two or three evenings then you're in pocket. If you usually take your wife with you, then buy two kits instead of one!"
Nash allegava anche una foto dei primi due kit Auto Replicas montati da lui stesso, indicando come per questi modelli il confronto con i pur buoni Rio, Solido o Yesteryear non si proponeva. Certo, come aveva rimarcato Xuereb, la qualità di troppe produzioni artigianali era ancora inaccettabile, ma il mercato avrebbe presto operato una giusta selezione.
Motor Sport, agosto 1976, pag.955: foto di due Auto Replicas montati
da Colin Nash.

Intervenne nel dibattito anche Brian Harvey (un intervento quasi d'obbligo, il suo): Harvey si dichiarava in disaccordo con Baxter sul fatto che generalmente i produttori inglesi di diecast consideravano poco interessanti le vetture da competizione moderne o contemporanee, a differenza di dieci o venti anni prima in cui fioccavano le riproduzioni di Formula 1 o sport-prototipo. Del resto - aggiungeva Harvey - Solido e Schuco operavano scelte felici in tal senso, con risultati incoraggianti. Quanto ai modelli speciali, Harvey raccomandava di distinguere i produttori validi da quelli scadenti, senza fare di ogni erba un fascio. Era il periodo in cui produttori di modelli speciali scoprivano un ampio mercato e la platea dei possibili acquirenti era certamente molto vasta. La stessa Grand Prix Models sponsorizzava - come faceva John Day e come avrebbe fatto di lì a qualche anno anche AMR - vetture da competizione e non deve sorprendere una frase come questa: "We are personally worried that the sponsorship of full-size racing cars by model car manufacturers will bring to our small industry many newcomers who may unwittingly buy some of the rubbish that is offered. To them we say, if you are not pleased with what you get for your money do not condemn the whole of this cottage industry because the products of one maker do not satisfy you?" Insomma, la qualità era possibile ottenerla, bastava cercarla con un po' di criterio.

I modelli AMR, alla metà degli anni settanta, avrebbero per sempre rivoluzionato il mondo
dell'automodellismo. Non per tutti, ma qualità senza pari per i canoni dell'epoca.



Con questo excursus storico - speriamo non troppo lungo per gli standard del web - ho cercato di riproporre lo stato dell'arte sulla questione modelli industriali-modelli artigianali a distanza di quarant'anni. Molte, anzi moltissime cose non sono più come allora e i collezionisti hanno oggi a disposizione una scelta che nel 1976 era pura fantascienza. Hanno anche a disposizione una gamma di prodotti che va dal modello da edicola a 9 euro fino alla realizzazione iper-esclusiva dei modellisti giapponesi, da 10000 euro. E nonostante questo, si sente sempre qualcuno che si lamenta per i costi eccessivi di certi modello. E' vero che oggi come oggi i vari Spark e Minichamps stanno raggiungendo, per ragioni economiche e finanziarie, prezzi davvero troppo alti; ma questo è un altro discorso. Per i modelli il cui costo sia giustificato dal corretto rapporto qualità-prezzo, vale il vecchio ragionamento di mister Colin Nash, sulle pinte di birra consumate al pub.
In Italia magari non si andrà al pub (in Inghilterra ci vanno ancora), ma fa un po' sorridere sentire certi collezionisti che si lamentano del costo "alto" degli ottimi Elite Models o dei più comuni BBR, magari mentre smanettano sul loro iPhone da 1000 euro. Questione di scelte.

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