18 maggio 2019

Le ipercorse, la noia e un passato che non esiste. Le Mans 1970 come paradigma


Steve McQueen ora pro nobis. Tabernacolo
ad acquerello, inizio sec. XXI. 

La Formula 1, la Formula E, le auto sportive moderne sono noiose? Anzi, mortalmente noiose e politicamente troppo corrette per voi che siete cresciuti guardando Takaya Todoroki su Telelibera Firenze? Vi capisco. Anch'io provengo da lì. Rimpiango la Brabham BT49 e la Williams FW07. Ok, fin qui ci siamo. Ma questo corto circuito di mancate emozioni genera mostri. Questi mostri si chiamano le ipercorse. Cosa sono le ipercorse? Sono le gare del passato rivisitate con le suggestioni della nostalgia, anzi, del disadattamento al presente, di per sé spiegabilissimo. Ma se il livello di esagerazione ha un limite, le ipercorse lo oltrepassano. Con l'avvento di Internet e dei social le ipercorse si sono radicate nell'immaginario degli appassionati, assumendo connotati mitici alla stessa stregua delle antiche agiografie. Steve McQueen, Le Mans 1970, la Porsche 917 e la Ferrari 512S, il Nurburgring e Spa sono fra i temi preferiti dell'iconografia delle ipercorse. Le ipercorse, lo avrete già capito, non sono mai esistite. Esse albergano nella mente di quelli che vanno a Le Mans vestiti da Porsche 917 o col giubbottino di McQueen, sperando di ritrovare nelle asettiche LMP di oggi emozioni probabilmente neanche mai esistite. Si riconoscono fra loro: io ho la T-Shirt rosa con i tagli dei maiale, tu hai quella viola con i ghirigori verdi e il numero 3, lui quella da benzinaio, celeste con la strisciona arancione. Roba che se le usi per andare in giro tutti i giorni ti bloccano subito e ti rinchiudono per un TSO (che non significa in questo caso Thierry Sabine Organisation). Nelle ipercorse non piove, diluvia. C'è tanta di quell'acqua che la 24 Ore di Le Mans 1970 sembra svolgersi in Piazza Santa Croce durante l'alluvione di Firenze, col Cristo del Cimabue che fa da starter. I bardi di queste vulgate drammatizzate sono quegli pseudo-pittori di croste che vedi a Rétromobile nel cosiddetto padiglione degli artisti o nel villaggio di Le Mans. Non faccio nomi, tanto sono tutti uguali.
Siamo a Le Mans 1970 e nevica. Buon Natale. 
Su Facebook i nostalgici della nostalgia si tengono bordone pubblicando foto che ormai non si sa più se siano originali, taroccate o se addirittura derivino da quei giochi per PC dove puoi utilizzare la Lotus di Clark o l'Alfa Romeo di Nino Farina. Al Nurburgring ormai non si salta più, si vola, che a confronto i botti tirati da Webber o Dumbreck a Le Mans (quelli, ahiloro, veri) fanno ridere. Così vedi Clark o Stewart librarsi nell'aere leggeri come farfalle, con le macchine che assomigliano più a palloni aerostatici che a Formula 1.
Palloncini alla sagra del prugnolo. 

Questo gusto è kitch e grottesco allo stesso tempo, ed è strettamente imparentato con i divani a forma di muso di Porsche 917 o agli sgabelli con i colori del casco di Pescarolo. Quella è però roba da ricchi, che magari possono infilarla nella loro stanzetta dei giochi, accanto ad un pacchiano modello montato da One Man Factory o da Fred Suber, magari col figurino di Mike Hawthorn che assomiglia più che altro a Popeye. Oppure insieme al clone (perché pensate che ci siano ancora kit originali?) della Ferrari AMR di Rossellini, scritto puntualmente Rosellini o Rosselini. Scrivere Rosselini sulla targhetta di un modello montato da uno dei guru dell'1:43 fa figo.

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