Qualcuno dice che siamo sempre noi inconsciamente a cercare i libri; altri invece pensano che siano i libri a cercare noi, invariabilmente. Sia come sia, spesso mi trovo a leggere capitoli di saggi o romanzi che in apparenza non hanno niente a che vedere con i temi di questo blog e che invece propongono degli spunti di riflessione forse più degni di uno studio di psicanalista che di un sito di automodellismo, ma tant'è: si sa che il collezionista è un po' psicopatico - non foss'altro che per quella psicopatologia della vita quotidiana che ti porta ad essere pesantemente condizionato dal diuturno accumulo di pezzi più o meno cari (o costosi, fate voi). Qualche tempo fa mi è capitato fra le mani in libreria l'ultimo volume di Giampiero Mughini, La stanza dei libri, una lettura che vi consiglio indipendentemente dal legame col collezionismo che vi spiegherò fra un attimo. Nel libro, Mughini spiega il valore della carta nella sua vita e in tante vite, la storia dei materiali stampati in un'epoca cruciale come gli anni di piombo nell'Italia del terrorismo, il suo rapporto con i volumi che è un rapporto da bibliofilo e quindi da... collezionista.
Eccoci. E da collezionista, Mughini è stato spesso a contatto con venditori, specialisti, altri collezionisti, esperti e curatori di raccolte. Ne ha accumulati a migliaia, con una passione per le edizioni futuriste originali. Collezione che ha dovuto tristemente smantellare e vendere, scrivendo la prefazione del bellissimo catalogo di vendita, che è come scrivere la musica per il proprio funerale. La vendita della propria raccolta o di una parte di essa è per il collezionista una specie di morte. Durante la propria vita il collezionista può morire e nascere più volte - per fortuna. Ve lo consiglio, il capitolo in cui Mughini ha riprodotto in toto quella prefazione, appassionata e profonda quanto mai. Una ricerca di una collezione può durare una vita; una vita può prendere la propria direzione secondo le scelte di una collezione. Mughini conclude che quando una grande collezione viene venduta, raramente c'è qualcuno che si prende la briga di scriverne la storia, almeno in Italia. In Inghilterra queste vendite - forse anche per la grande tradizione delle case d'asta - vengono accompagnate da articoli, interviste, prefazioni a cataloghi in cui se ne tracciano le linee storiche fondamentali e la genesi.
Non un modo pleonastico di aggiungere parole, ma un importante complemento all'esistenza stessa della raccolta. In Inghilterra, negli Stati Uniti si fa; in Italia no. Già in Italia troppi collezionisti sembrano dei carbonari, figuriamoci quando arrivano alla decisione di disfarsi dei loro pezzi. Qui sembra quasi un sacrilegio cercare di venire a sapere da dove proviene una collezione; che fatalmente avrà meno valore perché resterà anonima, che piaccia o no. Esistono siti specializzati in obsoleti che fanno precedere l'inizio delle vendite di importanti raccolte con ampie note sulle caratteristiche della collezione, perché una collezione è un elemento con una propria organizzazione, una propria storia, delle ragioni sue proprie.
Qui ve lo immaginate uno dei nostri maggiori siti che acquisisce una collezione di Dinky o Corgi e pubblica un pezzo sul personaggio che li ha custoditi per quaranta, cinquant'anni? Tabù. Torno a Mughini: le sue pagine trasmettono la febbre della ricerca del pezzo raro, quello inseguito per chissà quanto tempo; una volta indubbiamente c'era più mistero; molti si ricorderanno le liste di vendita fitte fitte mandate per posta o per fax da certi negozietti inglesi degni di un romanzo come 84 Charing cross road, e non mi dite che in Italia queste cose non si facevano. Solo che in Italia i collezionisti si nascondono sia da vivi sia da morti, alcuni facendo finta di non aver mai comprato nulla, altri facendo finta di non aver mai venduto nulla. Il discorso sta virando sui vizi e le caratteristiche dei collezionisti di casa nostra, dei quali mi occuperò in uno dei prossimi post del blog. Leggete il libro di Mughini.
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