15 aprile 2020

La Stein Porsche bimotore di Indianapolis 1966: un'autocostruzione di Massimo Martini

Di macchine bizzarre a Indianapolis ne sono passate tante e pochissime fra queste si sono rivelate vincenti. Spesso alla Indy-500 la semplicità è stata l'arma vincente; semplicità che quasi sempre si accompagna alla robustezza e quindi all'affidabilità. Ma il bello di Indy sono anche le auto stravaganti, ai limiti dell'assurdità, che soprattutto negli cinquanta e sessanta hanno tentato il colpaccio puntando tutto su concetti buoni sulla carta, ma che alla prova dei fatti dimostrarono tutte le loro lacune. E' il caso di una monoposto spinta da due motori Porsche, uno che spingeva le ruote anteriori, l'altro che agiva su quelle posteriori. Albert Stein fu l'ideatore di questo particolare mezzo; Stein era un appassionato di motori con alle spalle una buona esperienza nelle Midget, che alla 500 Miglia di Indianapolis iscrisse questa vettura bimotore.

In realtà il progetto covava da almeno tre anni, durante i quali Stein si era scervellato per risolvere, in teoria, i molteplici problemi tecnici che una soluzione di questo tipo comportava. Studiando il progetto della Fageol Twin Special Offenhauser degli anni quaranta, decise di riprenderne il concetto, utilizzando stavolta più moderni propulsori Porsche 2 litri, quelli che equipaggiavano la 911. Il telaio tubolare venne progettato da John Huffaker, facendo ricorso alla combinazione di acciaio e di alluminio. Bill Cheesbourg, originario di Tucson, fu il pilota prescelto per tentare di qualificare la Stein Porsche Special alla 500 Miglia. Causa persa, e non tanto per colpa del pilota, di per sé anche piuttosto valido, quanto per le tantissime lacune di una vettura che probabilmente non stava in strada nemmeno sul dritto.

Poca velocità di punta, torsioni a go-go e mancanza di una vera sincronia fra i due motori 6 cilindri tedeschi (che facevano quel che potevano) tolsero quasi subito dal novero dei pretendenti ai 33 posti in griglia la vettura di Albert Stein. Invano nei mesi successivi Stein cercò l'appoggio ufficiale della Porsche per la prosecuzione di un progetto che molto probabilmente era nato storto. La Stein Special, comunque, il suo posto nella storia delle curiosità di Indy se lo guadagnò. Difficile che un soggetto Porsche (anzi, doppiamente Porsche, per fare una battuta...!) passasse inosservato a Massimo Martini, che armato del suo solito plasticard, della pluricinquantennale "scrapbox", come direbbero gli inglesi, di righelli e misuratori ha praticamente costruito da zero una replica in 1:43 di questa stravagante vettura.

Come al solito, fondamentale è stata la fase di progettazione e di confronto di tutte le misure e degli ingombri; poi la parte telaistica e quella meccanica, in questo caso piuttosto complesse. Non è stata un'impresa facile, come si potrà ben immaginare. Magari un giorno Spark, Truescale o qualcun altro "copieranno" l'idea, ma vuoi mettere la soddisfazione di aver fatto tutto da solo partendo dal foglio bianco? In questo caso le foto non hanno neanche bisogno di didascalie. Complimenti.





1 commento:

  1. Certo che il signor Martini è veramente un ottimo modellista… e complimenti per l'originalità dei soggetti!

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