I libri - si sa - non sei tu a cercarli ma sono loro che ti cercano. Un po' come le donne, ma quello sarebbe un altro discorso. Qualche giorno fa ero entrato all'IBS per prendere un paio di volumi, uno inerente gli argomenti del blog, l'altro perché alcune recensioni mi avevano incuriosito. Il primo è Conoscere la Formula 1, un simpatico manuale a cura di Mauro Forghieri e Marco Giachi (di cui forse parlerò), il secondo è La scuola cattolica, romanzo (ma la parola romanzo in questo caso è riduttiva) di Edoardo Albinati. Ho deciso che La scuola cattolica avrebbe potuto attendere, e in compenso ha attirato la mia attenzione, nella sezione dei libri usati e dei resti di magazzino, un bel volumetto edito dalla Vallecchi di Firenze nel 1971, contenente dei testi sparsi di Giovanni Papini, le Schegge, dal 1954 al 1956. Al di là dell'interesse letterario che ho sempre provato per una figura ingiustamente dimenticata come il Papini, mi sono sempre piaciuti questi libri dei primi anni settanta, ancora prodotti da case editrici storiche che ancora esistevano in una Firenze già in piena mutazione ma che rappresentano bene il trait d'union fra l'antica cultura dell'anteguerra e la modernità che viveva già della comunicazione di massa applicata alle lettere.
E come è successo per altre recenti scoperte, il libro non delude, anzi riconcilia con certi cliché che inevitabilmente il liceo, cronicamente ossessionato dalla mancanza di tempo, ti deve mettere in testa: Papini e Prezzolini (sempre insieme), il Prati e l'Aleardi, e giù un'altra pletora di "minori" colpevoli solo di essere vissuti nell'epoca in cui forse di talenti ce n'erano anche troppi. Oggi che con tutto il rispetto si celebra Camilleri come autore nazionale, neppure il più scornato dei Bersezio, dei Pascarella o uno a casaccio fra gli epigoni della Scapigliatura scomparirebbe nel cialtronesco foro boario contemporaneo; anzi, forse non verrebbero neanche ascoltati perché giudicati difficili. Ebbene, Papini.
E come è successo per altre recenti scoperte, il libro non delude, anzi riconcilia con certi cliché che inevitabilmente il liceo, cronicamente ossessionato dalla mancanza di tempo, ti deve mettere in testa: Papini e Prezzolini (sempre insieme), il Prati e l'Aleardi, e giù un'altra pletora di "minori" colpevoli solo di essere vissuti nell'epoca in cui forse di talenti ce n'erano anche troppi. Oggi che con tutto il rispetto si celebra Camilleri come autore nazionale, neppure il più scornato dei Bersezio, dei Pascarella o uno a casaccio fra gli epigoni della Scapigliatura scomparirebbe nel cialtronesco foro boario contemporaneo; anzi, forse non verrebbero neanche ascoltati perché giudicati difficili. Ebbene, Papini.
Di Papini avevo ritrovato una serie di foto scattate nella sua casa fiorentina nel 1955 proprio qualche giorno prima, nell'archivio dell'Istituto Luce. Quando si dice che gli avvenimenti si richiamano e i personaggi pure. Mi sono divorato quell'elegante libro in carta vergata, elegante ma non affettatamente raffinato. I libri la Vallecchi li faceva così perché ancora nei primissimi anni settanta un libro non era mai un fatto banale. Un testo rarefatto e allo stesso momento consistente, di un intellettuale che di lì a poco avrebbe lasciato questo mondo, e lo sapeva.
Vi sono perle di saggezza e di lungimiranza, con previsioni talmente azzeccate sul futuro (ossia il tempo che stiamo vivendo oggi) che sarebbe un peccato bruciare in un blog come questo. Una cosa però ve la voglio trascrivere, e si tratta di un breve dialogo immaginato tra l'autore e uno dei suoi tanti alias, in questo caso il famoso Versiero:
"Il pittore moderno - proclamò sorridendo Versiero - è a mezza strada tra il verniciatore e il medium. Anzi, il più delle volte, tra un verniciatore inesperto e un medium fraudolento".
"Il tuo maledetto vizio del frizzo lepido - risposi - ti fa tradire il vero. Soltanto nella cerchia dei miei amici, che non sono molti, conosco quattro o cinque pittori eccellenti. Ma seguita pure: cosa dirai dei critici d'arte?"
"Il critico d'arte è a metà strada tra il complice involontario e il metafisico a bassa quota".
"Sta bene, e i collezionisti?"
"I collezionisti sono a metà strada tra i romantici dell'investimento d'azzardo e gli astrologi delle congiunzioni e opposizioni delle mode artistiche".
Al netto delle corrispondenze ancora attuali col mondo dell'arte di oggi, mi sono chiesto se potrebbero esserci dei parallelismi col nostro ben più modesto mondo dell'automodello. I montatori da 1000 euro a mezza strada tra il verniciatore e il medium; i gruppi su Facebook dove si criticano gli 1:18 della Laudoracing formati da gruppuscoli di complici involontari e metafisici a bassa quota e, infine, i collezionisti bulimici, frustrati e infantili sospesi fra il romanticismo da investimento d'azzardo e l'astrologia delle congiunzioni e opposizioni delle mode. Immagini sapide e quantomeno grottesche ma almeno un po' vere? Papini scuserà l'irruzione nel suo mondo erudito di un giornalista in vena di provocazioni.
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