03 giugno 2019

La scomparsa di Fabrizio Pitondo: storia di un vero appassionato

Fabrizio Pitondo con i suoi modelli a Novegro. 

Purtroppo da parecchio tempo la salute di Fabrizio Pitondo era tutt'altro che buona. I suoi amici erano seriamente preoccupati. Oggi la notizia della sua scomparsa ha suscitato una profonda tristezza fra chi lo conosceva bene ma anche fra coloro che con i suoi modelli avevano trascorso tante ore di divertimento. In questi casi non si sa mai cosa dire, ma da giornalista conservo tanti ricordi legati a Fabrizio. Ancora prima, da modellista e appassionato, ricordo l'emozione di vedere uscire, negli anni ottanta, tutti quei kit Porsche che guardavamo e riguardavamo sui TSSK e sulle riviste. Io desidererei ricordare la sua educazione e la sua cortesia, doti che non sono mai scontate. Era una persona umile e sempre pronta a recepire qualcosa da tutti. Lo avevo incontrato l'ultima volta a Novegro, credo nel dicembre del 2013, dopodiché le preoccupanti notizie sul suo stato di salute mi facevano spesso ripensare a quando l'avevo intervistato per alcune testate. Era stato sempre molto disponibile e tutte le volte che ci vedevamo mi ricordava che doveva ancora prepararmi quella Porsche 907 del Circuito Stradale del Mugello.


A un primo articolo, pubblicato su Four Small Wheels (nel 1998 o giù di lì) fece seguito un secondo pezzo, che scrissi per AutoModélisme nel 2004 o nel 2005. A quell'epoca il mio francese era ancora abbastanza scolastico e fu Luigi Reni a tradurne il testo. In omaggio a Fabrizio, pubblico qui quell'articolo nella sua versione originale italiana, che non è mai uscita da nessuna parte. E' - brevemente - la storia sua e della Pit, ferma a quattordici o quindici anni fa, quando aveva ancora diversi progetti e sognava di andare a Sebring. E' il mio contributo alla memoria di questo modellista per certi versi atipico ma che è riuscito a dare molto alla storia dell'automodellismo 1:43.



VISITA A PIT MODELS                                  
di DAVID TARALLO

In un momento di crisi per l’automodellismo speciale, c’è ancora chi crede nel prodotto artigianale, tanto da averne in catalogo… diverse centinaia. Stiamo parlando di Fabrizio Pitondo di Verona (Italia), un personaggio di cui le cronache modellistiche si sono sempre occupate poco, ma che si è spesso contraddistinto per l’originalità delle sue scelte di produttore di modelli speciali e per l’abbondanza di soggetti che popolano la sua gamma, denominata Pit Models. Come altri artigiani, Pitondo ama stare nell’ombra, ma più di un collezionista gli deve essere riconoscente per aver colmato moltissime lacune in tema Porsche, decisamente la sua marca preferita. “Il mio inizio di modellista – racconta Fabrizio Pitondo – potrei definirlo ‘classico’: cominciai elaborando miniature industriali fin da bambino. Ricordo che la mia prima opera fu una Fiat 600 della Mercury trasformata in Abarth 850 Nürburgring. A quei tempi, negli anni Sessanta, si allargavano i parafanghi ritagliando i tubetti dei medicinali, i trasferibili erano le nostre decals e si usavano molto i pennelli!”. La passione continuò con l’età più adulta, e Pitondo andò specializzandosi nell’elaborazione di modelli industriali per ottenere versioni che i costruttori die cast non avrebbero mai potuto realizzare. Dall’elaborazione, Pitondo passò abbastanza presto all’autocostruzione: nelle vetrine della sua casa di Verona c’è ancora una bellissima AMS Sport autocostruita in scala 1:43 che per un occhio appena esperto è impossibile non notare e non… desiderare! Il 1983 fu l’anno della svolta. “Avevo costruito per la mia collezione una Porsche 911 Targa IMSA molto speciale, che aveva corso a Watkins Glen. Fu proprio allora che Giancarlo Mantovani, uno dei più noti collezionisti italiani, vide il modello, lo trovò molto interessante e mi propose di produrlo in piccola serie. Naturalmente eravamo dei neofiti e i primi approcci con il modellismo speciale in chiave commerciale furono tutt’altro che facili. Feci con Mantovani una società… ‘a voce’, e le difficoltà furono tantissime. Prendemmo delle ‘scornate’ terribili e dopo un anno dovevamo ancora vedere uscire il primo modello. Mantovani perse un po’ d’entusiasmo, ma visto che ormai avevo impegnato dei soldi nell’impresa, decisi di andare avanti ugualmente, almeno per recuperare il denaro investito”. Fu invece un bel successo. All’uscita del modello, insieme alla moglie e con fare un po’ timoroso, Pitondo si recò a Milano dal negozio Zeppelin, chiedendo se per caso fossero interessati ad acquistarne un po’ di esemplari. Non solo la 911 piacque molto, ma Zeppelin ne chiese l’esclusiva. Fu una specie di “laurea” per Pitondo, che restò molto lusingato da una tale richiesta, anche se in realtà la cosa poteva nascondere delle insidie, che non tardarono ad arrivare. “Beh, lasciamo stare” prosegue Pitondo; “ciò che è stato è stato. La cosa importante è che nonostante lo scotto dell’inesperienza decisi di andare avanti. La scelta del secondo modello cadde sulla Porsche 914, che riprodussi dapprima nella versione ufficiale Montecarlo di Waldegaard, poi in altre varianti anche più originali, fra le quali la 916, che mi pare che all’epoca fosse ancora inedita. Direi che la 914 è stato il mio modello di maggior successo, anche perché ha sempre avuto in generale poca concorrenza. Come modello singolo, invece, la referenza che ha venduto di più è stata proprio la 911 di Watkins Glen, che è stato l’unico modello per il quale ho dovuto far ristampare le decalcomanie”.
Fin dai primi momenti, l’interesse di Pitondo fu attratto soprattutto dalle Porsche americane, che considerava superiori alle altre per le loro carrozzerie spesso così “esagerate”, per i colori sgargianti e le livree di grande impatto. Nella primavera del 1985 erano già disponibili una quindicina di Porsche 914/6. Dopo un trio di interessanti 930 Gr.B, si passò ad un’altra celebre Porsche, la 908/2 Spider, e tante delle versioni che ne derivarono furono molto interessanti oltre che inedite. Alla 908/2 Spider classica si aggiunse la “Flounder”, con un’altra messe di versioni di ogni team e gara. Era il 1986 o giù di lì. “A distanza di tre o quattro anni – ricorda Pitondo – un possessore di 356, Giancarlo Cattaneo, mi chiese di riprodurgli la sua macchina; sulle prime rifiutai, dicendogli che la 356 era stata già riprodotta in tutte le salse da altri costruttori. Invece poi cambiai idea e nacque la lunghissima serie delle 356, che spazia dai primissimi esemplari e giunge alle varie evoluzioni della B. Un catalogo così ricco aveva però le sue controindicazioni. Era (ed è tutt’ora impossibile) mantenere in stock decine e decine di modelli. “Ricordo a questo proposito un aneddoto”, ride Pitondo: “alla fine di un celebre libro sulle 356 vi fu aggiunto un capitoletto sulle riproduzioni in miniatura. Ebbene, quando l’autore arrivò a Pit, tagliò corto con due righe di questo tenore: ‘tutto quanto è stato fotografato in questo libro, Pit l’ha prodotto; peccato che non lo consegni!’.” Dopo oltre 20 anni da produttore di modelli speciali, Pitondo può ormai tracciare un bilancio della propria attività: “direi che oggi i collezionisti sono molto più esigenti di quando ho iniziato, anche perché il mercato si è evoluto moltissimo. Se dovessi riproporre oggi un modello simile alla mia prima 911, credo che ne farei uno per me e poi chiuderei bottega. Alcuni modelli via via li ho aggiornati, sostituendo ad esempio alcune decalcomanie con fotoincisioni. In questi 20 e passa anni il salto è stato enorme. Adesso, poi ci si sono messi anche i diecast, che sono diventati molto competitivi. La mia politica è quella di fare ciò che non fanno altri, andando a cercare soggetti estremamente particolari”. In passato, bisogna dire la verità, i modelli Pit sono stati a volte criticati per alcune imprecisioni riguardanti l’assenza di decals o di altri particolari. L’autore di queste righe ricorda che una decina di anni fa, Pitondo disse che in fondo era meglio fare un modello incompleto per documentazione insufficiente piuttosto che non farlo per nulla. Quanto è cambiata oggi questa linea di condotta? “Devo dire – risponde Pitondo – che ho ricevuto a volte delle lezioni piuttosto pesanti. Citerò un episodio significativo: una volta un collezionista svizzero mi chiese tre esemplari di una 356 da record. La 356 era stato il mio primo modello con cofano motore apribile, e siccome ricordavo che si trattava di un 1500, montai il motore come qualsiasi altro 1500 e gli spedii il materiale. Dopo qualche giorno lui mi contattò complimentandosi per il prodotto ma obiettando che c’era un errore clamoroso: si trattava sì di una versione da 1500cc, ma solo in origine; per quel tentativo di record - anno 1957 – era stato infatti montato un motore 1600. ‘I filtri dell’aria del 1500 – mi disse il collezionista svizzero - erano rotondi, mentre quelli del 1600 erano ovoidali. Lo tenga presente’. Altro episodio significativo riguardò un’altra 356, per la precisione la Carrera 2 che corse alla Targa Florio 1966 col numero 142: avevo sotto mano solo foto in bianco e nero di quella vettura, ma ero convinto che fosse rossa, visto che ‘tutte le Carrera 2 erano rosse’. Invece no! Dopo l’uscita del modello, un collezionista e appassionato siciliano in possesso di un filmato amatoriale del ’66, in cui si vedeva alla partenza la Carrera 2 in questione, che – sorpresa, sorpresa – era blu! Questi incidenti di percorso mi hanno insegnato ad andare un po’ più cauto ogni qual volta mi viene in mente di riprodurre una particolare versione”. Un’ulteriore critica che è stata mossa ai modelli Pit è stata quella della difficoltà di montaggio, almeno nel caso di certi articoli, come la 914. Queste critiche hanno un fondamento, ed è vero che venire a capo di alcuni modelli in maniera soddisfacente è un’impresa da modellisti più che esperti, ma bisogna pur sempre tener presente che si tratta di miniature artigianali nel vero senso della parola, e che per tale motivo anche la loro fabbricazione risente di un’approssimazione maggiore rispetto ad altri modelli speciali. Difficile poi, per i pigri, imbattersi sul mercato in alcuni factory built, visto che il titolare della Pit Models ha pochissimo tempo a disposizione per realizzare piccole serie di montati. Ma nonostante queste e altre difficoltà, la gamma Pit è arrivata alla rispettabile cifra di oltre 820 referenze, esclusivamente Porsche. Ricordiamo che alla 911 Targa, alle 908, 914 e 356 si sono aggiunti altri modelli della Casa di Stoccarda, dalla 907 alla 917 dalla 906 alla 934, fino a moltissime 911 stradali (comprese le serie 964, 993 e 996). La Boxster è una delle più recenti passioni di Pitondo, non escludendo, ovviamente, le versioni viste nelle corse americane, come quelle viste nella serie SCCA. Ma con questa grande propensione per le Porsche americane, qual è stata l’accoglienza dei modelli Pit negli Stati Uniti? “In una prima fase – dice Pitondo – il mondo dei collezionisti statunitensi conobbe i miei modelli, anche grazie alla rivista Porsche Excellence, ma anche in quel caso la critica che veniva mosse riguardava la scarsissima o nulla reperibilità dei miei articoli. In effetti, fino a qualche tempo fa il mio lavoro principale mi impediva di dedicarmi in pieno all’intero aspetto commerciale della faccenda, col risultato che la distribuzione e la diffusione dei miei modelli lasciavano alquanto a desiderare. Sono comunque convinto delle enormi risorse del mercato americano, e di fatto continuo a produrre versioni che potrebbero interessare i collezionisti di quelle parti”. Internet aiuterà?
Ma tra i modelli Pit non si trovano solo vetture “americane”: Pitondo si adopera infatti per ripercorrere la storia della Porsche nell’automobilismo italiano, e non mancano vetture della 1000 Km di Monza, della Targa Florio, del Circuito Stradale del Mugello, delle gare in salita fino alle auto più recenti che partecipano alla Targa Tricolore Porsche, un monomarca di successo e molto competitivo. Ma c’è un modello che Pitondo vorrebbe rirpodurre ma che è sempre rimasto un sogno nel cassetto? Magari qualche bella e strana versione della 904? “In questo momento – risponde – direi di no, anche perché ho tanto di quel lavoro da fare che la mente è occupata a tenere dietro a filoni già esistenti. In questo momento sono impegnato con alcune versioni della 914, che continua a riscuotere un buon successo, soprattutto in paesi del nord Europa come la Svizzera. Il problema maggiore da risolvere ora come ora è far conoscere i miei modelli, magari grazie all’aiuto di qualche foto in più. Adesso, grazie ad un nuovo fotografo che ho conosciuto, la situazione dovrebbe migliorare”. Lasciamo Fabrizio Pitondo nel proprio laboratorio di Verona, non molto ampio ma strapieno di cassetti colmi di pezzi e di centinaia di fogli di decals. Dopo tutto non dev’essere per niente facile tenere sotto controllo un catalogo che si sta avvicinando a grandi passi verso il millesimo modello.

2 commenti:

  1. Grazie David. bel ricordo e belle parole. Stefano Adami.

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  2. E' stato sempre un grande amico, un serio cliente e un vero modellista "Porscista" lo ricorderò per sempre, un grande abbraccio ovunque tu sia. Umberto Codolo.

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