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Alcune copertine di Modélisme Automobile
International: notare le Ferrari 512M di Safir presentate
nel numero 76 dell'inverno 1971-1972. |
Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta, la sete di informazione nel campo automobilistico e modellistico era molta e la Francia si poneva all'avanguardia con pubblicazioni che provocavano una vera caccia al tesoro. L'uscita di una nuova testata, infatti, spesso rischiava di restare un fatto limitato al paese d'origine e tenersi informati su quanto di interessante proponeva il mercato richiedeva tempo e una certa dose di scaltrezza. Nel settore dell'automodellismo, le cose si stavano evolvendo verso una radicale rivoluzione del mercato con l'avvento dei primi speciali, ma ancora la produzione industriale occupava il primo posto: era una produzione di raggio limitato, diremmo quasi frustrante per i modellisti, ai quali non bastavano più le pochissime uscite mensili dei marchi che andavano per la maggiore (Dinky France e Solido su tutti). Del resto queste case non avevano particolare interesse a moltiplicare le novità, almeno finché i modelli già in catalogo non subivano un brusco abbassamento della richiesta. Non è un caso, ad esempio, che Solido non produsse mai la Ferrari 330 P4; non ce ne fu la necessità, visto che le vendite della 330 P3 conobbero un grande successo. Era questa la filosofia dei marchi industriali, l'esatto contrario di ciò che volevano i collezionisti.
In quel periodo avvenivano fra le grandi case e i futuri artigiani delle collaborazioni abbastanza strette sulle quali finora è stato scritto poco o niente.
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L'attualità dell'1:43 industriale era uno degli elementi portanti della rivista. Suggestiva la foto della Ferrari 512 S di Solido sul libro di Hans Tanner, all'epoca il non plus ultra in fatto di documentazione ferrarista. |
Alcuni di essi, ad esempio, lavoravano all'interno della Dinky France e alcune realizzazioni particolari, come prototipi mai messi in produzione oppure elaborazioni in pezzo unico ma regolarmente chiuse con i rivetti ufficiali sono proprio opera loro. Di qualcosa ha iniziato a parlare Jean-Michel Roulet nel suo recente rifacimento del volume sulla Dinky Toys France, ma moltissimo resta ancora da scoprire. Al di là di questi punti di contatto primigeni fra produttori industriali e futuri produttori artigianali, un ruolo importantissimo lo ricoprivano alcune riviste che ne illustravano l'attività, come Modélisme Automobile International. Si trattava di un trimestrale di una quarantina di pagine edito a Parigi (boulevard Sébastopol nel terzo arrondissement) e diretto da Jacques Greilsamer.
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Sempre nutrita la sezione delle foto delle elaborazioni, realizzate da modellisti o da personaggi che ben presto si sarebbero ritagliati una notorietà nell'ambiente. Giusto per fare un esempio, in basso, sono riprodotte alcune creazioni di Jean-Yves Puillet, fondatore di Mini Racing. |
La rivista dedicava ampio spazio all'1:43, pur concedendo svariate pagine alle altre scale (all'epoca i kit in plastica erano già molto diffusi). Ma quello che aveva di particolare Modélisme Automobile International, era una vocazione all'elaborazione e alla documentazione. Sfogliando i vari numeri, si scoprono dettagliatissimi articoli su come trasformare un modello Solido per ottenere una versione allora inedita.
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Erano molto attese, di uscita in uscita, le guide su come elaborare un modello per ottenere una versione inedita. Il periodo dei transkit era ancora di là da venire e solo Solido aveva messo in commercio delle decals con delle istruzioni per modificare alcuni suoi modelli. Erano tempi in cui la domanda era ben maggiore all'offerta. |
Non mancavano le visite a collezionisti e le corrispondenze da paesi all'avanguardia nel settore dell'1:43 come la Gran Bretagna o l'Italia, anche se i quell'epoca i produttori industriali del nostro paese si stavano pericolosamente allontanando dalla ricerca della fedeltà per imboccare con decisione la china di una ben maggiore approssimazione, che naturalmente scontentava i collezionisti; una tendenza peraltro comune a due grandi marche inglesi come Dinky e Corgi, mentre la parte francese della Dinky avrebbe tenuto botta con modelli decisamente migliori, anche se la concorrenza di Solido si faceva già sentire. Sfogliando queste riviste si ha la percezione di come il modello speciale si sia inserito nel panorama del diecast non con forza né in modo traumatico ma di come per certi versi abbia gettato le sue basi sul terreno del diecast in un modo che oggi nessuno ricorda più.
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Ancora alcune elaborazioni in evidenza. Gli autori, tutti destinati a fare strada: Jean-Marc Teissedre, Jean Liatti, Dominique Esparcieux... |
I master in legno salvati dal trasloco della Dinky negli anni settanta sono strettamente legati con i master che generarono i primi modelli speciali; allo stesso modo le tecniche di trasformazione e di rifinitura che emergono - come detto sopra - da alcuni pezzi unici presenti in alcune collezioni soprattutto francesi sono fenomeni paralleli al montaggio dei modelli speciali degli albori. E' un punto di vista un po' inedito di guardare le cose, ma il nostro settore è ormai maturo perché certi fenomeni vengano valutati ormai con un occhio storicamente aperto e documentato. La strada è interessante anche se l'argomento è complesso; in un recente viaggio a Parigi io stesso ho avuto la possibilità di parlare con un paio di persone che negli anni settanta lavoravano alla Dinky France, le quali mi hanno confermato che la collaborazione fra il produttore industriale e gli artigiani era piuttosto stretta. Approfondire questi temi significherebbe far uscire alcune realtà dall'astrazione nella quale i collezionisti tendono a considerarle.
Giusto un sussurro appena accennato, rivolto a chi dovrebbe ascoltare.
RispondiEliminaIl nostro settore non è ancora finito, resta ancora tanto da discutere, raccontare ed approfondire. Non solo tramite il web ma con qualcosa di meno effimero.
David riesce-lui da solo-a trovare argomenti sempre calzanti e ricchi d'interesse in grado di agitare acque e suscitare curiosità.
Il passo per approdare a qualcosa di più concreto non dovrebbe essere troppo impegnativo. Ma forse mi sbaglio, cullato da certe illusioni.
La rivista più importante di quell'epoca e, a mio avviso, per come era strutturata di ogni epoca; anche se sono confronti pecorecci, ci tengo a sottolineare con quanto entusiasmo e genuino stupore sfogliai la prima che mi capitò fra le mani; era esattamente quello che mi aspettavo da una rivista del settore.
RispondiEliminaNon per ribadire un concetto espresso anche troppe volte e non per disilludere il pensiero di Umberto ma non è solo il web a influire o altri ben noti fattori commerciali; è solo l'iper democratico tempo che passa che non consente di cullare certe utopie.
Ne rimarrà uno solo ...